È possibile ridurre o abbandonare la terapia antipertensiva quando i valori di minima massima sono ben controllati? La domanda è tutt’altro che oziosa. Se si va in terapia a causa di valori di pressione sistolica (la massima) e diastolica (la minima) borderline, porsi il problema di rivedere e adeguare la terapia fino a sospenderla quando i valori si stabilizzano a normali non dovrebbe essere sbagliato. Per lo meno, in linea teorica. I primi ad allargare le maglie della terapia siamo stati noi europei. Le linee guida della Società Europea di Ipertensione (ESH), aggiornate nel giugno 2023, raccomandano che gli adulti di età superiore a 79 anni classificati come fragili debbano continuare a essere trattati solo quando la loro pressione arteriosa sistolica supera i 160 mm/Hg. Un indicazione che, in buona sostanza, è stata accolta anche dalle linee guida statunitensi. Che cosa ha comportato questa scelta? Che dopo aver valutato il quadro clinico d’insieme del paziente ottuagenario, il curante continua con la terapia antipertensiva ponendosi come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita del paziente più che prolungargliela in termini di tempo; obiettivo, quest’ultimo, che invece permane per tutti gli altri pazienti più giovani.Posto che l’ipertensione rappresenta un importante fattore di rischio modificabile per la malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca, l’ictus, la malattia renale cronica e la demenza, le linee guida americane suggeriscono di intervenire per tutti gli altri pazienti a fronte di valori ˃130/80 mm/Hg, mentre quelle europee alzano l’asticella del rischio di 10 mm/Hg (˃140/90) ma limitatamente ai pazienti in prevenzione primaria. In questi soggetti un intervento di miglioramento radicale nella dieta correlato a un controllo ponderale e accompagnato da un’attività fisica costante di almeno 30-45 minuti al giorno di movimento aerobico, possono da soli portare a risultati sorprendenti in termini di valori di PA normali.Quando invece si tratta di soggetti in prevenzione secondaria, ovvero che hanno già accusato i sintomi di una delle malattie di cui sopra e che l’ipertensione va a complicare, oppure se hanno almeno altri due dei fattori di rischio della sindrome metabolica (come diabete, sovrappeso o dislipidemia) in questo caso si ricorre alla terapia antipertensiva a partire da valori ˃130/80 mm/hg anche per noi europei.
Ma per tornare alla domanda inziale, in un recente studio apparso sulla rivista «Journal of Hypertention» si evidenzia come nei soggetti sottoposti a verifica del dosaggio degli antipertensivi, diminuire la dose dei farmaci non ha avuto un impatto ragguardevole sulla pressione arteriosa clinica, mentre ha aumentato significativamente i valori di quella domiciliare. Tra gli 83 pazienti (età media 66,3 anni; 45,8% uomini) la riduzione della dose ha portato ad un aumento della pressione sistolica domiciliare da 110,5 a 118,7 mmHg e della diastolica domiciliare da 68,8 a 72,8 mmHg.
Entrambe le linee guida europee e americane insistono sull’importanza di una misurazione standardizzata e accurata della pressione arteriosa e raccomandano la misurazione ambulatoriale per la diagnosi. Per la misurazione fai-da-te entrambe concordano nell’utilizzo di dispositivi con cuffia da braccio, considerati più affidabili di quelli che si basano sui riscontri da polso e da dito. Inoltre, troppe sono le variabili che entrano in gioco nella misurazione domiciliare, oltre quella del tipo di dispositivo. Si racconta di tizio che aveva un dispositivo da braccio che segnava valori talmente parossistici che una volta messo a confronto con quello del vicino di casa e poi del curante, il suo strumento è risultato totalmente inidoneo. Oppure di quel tale che aveva l’abitudine di misurarsi la pressione dopo pranzo, cosicché la volta che ha cominciato a farlo prima di mettersi a tavola ha preso nota di valori molti più accettabili del solito. Data la diversità di valori fra ambulatorio e casa, gli autori dello studio citato sono stati portati a concludere che la preoccupazione correlata a un aumento della variabilità della pressione arteriosa nella strategia pianificata di riduzione dei farmaci antipertensivi non sia sostanziale. Quindi che ridurre si può, purché ha farlo sia il curante.