Nei soggetti a rischio di malattie cardiovascolari, 120 mmHg sta diventando l’obbiettivo di pressione arteriosa (PA) sistolica nelle linee guida internazionali. Una conferma viene da ultimo da ESPRIT, uno studio clinico di fase 3 che ha seguito oltre 11 mila adulti cinesi (età media, 64 anni, 41% donne) con una PA sistolica (“la massima”) di 130-180 mmHg (la media era 147/83 mmHg) e una malattia cardiovascolare accertata o almeno uno dei due principali fattori di rischio cardiovascolare: di quelli arruolati, il 39% aveva il diabete e il 27% aveva una storia di ictus. Metà dei partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un trattamento intensivo della PA, con un target di PA sistolica ˂120 mmHg; i restanti, con un target <140 mmHg, hanno ricevuto un trattamento standard. In entrambi i raggruppamenti il follow-up è durato 3 anni. Già dopo il primo anno, la pressione sistolica si è abbassata a 120,3 mmHg nel gruppo di intervento, a 135,6 mmHg nel gruppo di controllo. Questi valori non sono cambiati fino alla fine del periodo di osservazione.
Risultato, dopo tre anni a 120 mmHg di PA il gruppo di intervento ha registrato un’incidenza inferiore del 12% per gli eventi vascolari maggiori, una mortalità cardiovascolare inferiore del 39% e una mortalità per tutte le cause inferiore del 21% rispetto al gruppo in trattamento standard.
˂120 mmHg è da leggersi in opposizione a 130-140 mmHG. 130 mmHg è già il valore massimo che molte linee guida, tra cui quelle americane, raccomandano come soglia massima da non superare per chi è affetto da patologie cardiovascolari, oppure per chi presenta almeno uno dei fattori di rischio per cuore e arterie, mentre 140 mmHg è il valore massimo per i soggetti sani, in questo caso gli esenti da patologia correlabile all’ipertensione.
A oggi, sono quattro gli studi più importanti che hanno esaminato obiettivi sistolici inferiori a 120 mmHg (SPRINT, ACCORD BP, RESPECT e ora ESPRIT) e tutti mostrano un beneficio simile per gli esiti cardiovascolari. SPRINT è lo studio che ha fatto chiarezza in merito ai pazienti afroamericani, anziani e ai pazienti con malattie renali. ACCORD BP è esemplare per lo studio dei pazienti con diabete, RESPECT per i sopravvissuti all’ictus e infine ESPRIT che allarga lo spettro di osservazione ai pazienti dell’Estremo Oriente (Cina).
«Si tratta di un bel mix di partecipanti diversi e tutti stanno mostrando lo stesso segnale: che 120 mm Hg è il valore di PA sistolica ottimale» ha commentato Paul Whelton, in occasione di un recente convegno. Whelton è Direttore del Global Public Health, Tulane University School of Medicine di New Orleans, Louisiana (USA) già membro dell’American College of Cardiology/American Heart Association: due tra le istituzioni che hanno il compito di definire le linee guida americane per l’ipertensione. A suo dire, sebbene ora vi siano buone prove a favore di obiettivi di pressione sanguigna più bassa, questi risultati non sono ancora stati introdotti a pieno regime nella pratica clinica. «Stiamo andando molto male in termini di attuazione». Vale a dire, tra la scienza e ciò che sta accadendo nel mondo reale vi è ancora un grande divario. Whelton ha sottolineato che solo il 30% dei pazienti nei paesi ad alto reddito raggiunge l’obiettivo di 140/90 e che nei paesi a basso e medio reddito solo l’8,8% raggiunge tale livello “minimo”.
E in Italia? L’Italia, come il resto d’Europa, si affida alle linee guida pubblicate dalla Società Europea di Ipertensione (ESH), la quale per il 2023 raccomanda dei target compresi tra 120 e 140 mmHg per la pressione sistolica e tra 70 e 80 mmHg per la diastolicaper la maggior parte della popolazione adulta. Nelle stesse linee guida, viene ricordato che il beneficio è proporzionale alla riduzione pressoria, ma è opportuno trovare un giusto equilibrio tra risultato, effetti indesiderati e compliance. Più che puntare a 120 mmHg come obiettivo primario, le ultime linee guida ESH rimarcano l’importanza della misurazione domiciliarerispetto a quella ambulatoriale. In linea teorica la prima non sarebbe non condizionata dall’“effetto camice”, responsabile di valori maggiorati, tanto più che oggi, grazie ai sistemi automatizzati, le misurazioni fai-da-te possono coesistere con l’immediata trasmissione dei dati.