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di Alberto Ferrari

Al via il progetto Healthy, che tenta un nuovo approccio nei confronti dell’obesità per invertire la tendenza che vede il fenomeno in forte crescita insieme alle malattie metaboliche e cardiovascolari, di cui l’obesità è uno dei fattori scatenanti. Il nuovo approccio sfrutta il valore predittivo delle parole: tiene conto delle narrazioni dei pazienti, dei caregiver e dei professionisti della salute. Il Progetto coinvolge 5 paesi europei: Italia, Bulgaria, Romania, Spagna e Turchia ed è finanziato della Comunità europea (ERASMUS+)

Giovanni è sempre stato una taglia forte. Da bambino si considerava “grassottello” ma all’età di 14 anni il dottore disse che era obeso. La diagnosi ufficiale, tuttavia, non è servita a far sì che cambiasse mentalità e soprattutto abitudini. Giovanni preferiva la compagnia della nonna invece che – probabilmente – passare più tempo a giocare con gli altri ragazzi. In cambio la nonna lo viziava, facendogli trovare sempre un sacco di cose buone da mangiare. L’essere un bambino solitario non deve aver costituito un problema neppure per i suoi genitori. Del resto, i migliori alleati Giovanni li ha sempre avuti in famiglia. Nella sua famiglia mangiare è sempre stato un rito che ha creato coesione.
Leggendo fra le righe del racconto di Giovanni, sorge il dubbio che l’autoesclusione da ragazzo fosse una difesa contro l’ansia e la preoccupazione sollecitate dagli scherzi dei coetanei. Se questa ipotesi fosse vera, se Giovanni temeva gli sfottò, non suona affatto strano che si rifugiasse dalla nonna. È un dato di fatto che le persone obese vengano di norma percepite come la personificazione della diversità, per colpa della mole che sono costrette a esibire. Il che fa di loro le vittime preferite degli atti di bullismo, e non solo tra i ragazzi. Nel celeberrimo racconto “Grasso”, Raymond Carver fa in modo che l’obeso che siede al ristorante in cui la voce narrante fa la cameriera, venga ripetutamente sbeffeggiato alle spalle dal resto dal personale, sebbene sia la prima volta che mette piede in quel locale. Dietro le risate e le battutine infamanti si agitano dei personaggi frustrati, pronti a cogliere il momento propizio per dimenticare le proprie debolezze, dando addosso a chi, a differenza loro, quelle stesse debolezze sembra costretto a incarnarle, in quanto coincidenti con un difetto fisico che è impossibile nascondere.
Oggi Giovanni ha 28 anni. Ha preso coscienza da tempo che da quando è «grasso» ‒ come lui stesso si definisce senza eufemismi ‒ la sua vita è peggiorata. Mangiare è sempre in cima alle sue preoccupazioni, forse perché è l’unica che gli dà gratificazione immediata. Vita sociale e realizzazione professionale lasciano parecchio a desiderare, ragione per cui i motivi per stare in casa, inchiodato davanti alla Play Station, hanno quasi sempre il sopravvento. Ma l’autoesclusione dalla vita sociale non è una prerogativa delle persone depresse? Di sicuro dei depressi obesi. Tra le narrazioni in cui abbiamo scovato la storia di Giovanni, vi è il virgolettato di un adulto che ben riassume il senso di isolamento e frustrazione che s’impadronisce di questi individui: «Come tutte le persone obese non voglio uscire, non voglio andare a teatro a meno che non trovo posti vicino al corridoio e con vicino un conoscente, non voglio incontrare persone che mi conoscevano in passato, non voglio andare in palestra perché non voglio che gli altri mi vedano, non voglio uscire per cena…».
Sovrappeso e obesità vengono comunemente indicati tra i fattori di rischio di ampia ricaduta sulla salute. Più spesso li si novera tra i frutti avvelenati di uno stile di vita sbagliato, alla stregua del diabete, dei valori elevati di colesterolo e trigliceridi, dell’ipertensione, del fumo e della mancanza di movimento, che insieme definiscono le condizioni cliniche di molte malattie, a cominciare dal quelle cardiovascolari.
Molto è stato detto su sovrappeso e obesità in rapporto alla prevenzione cardiovascolare ma evidentemente bisogna dire di più o, forse, meglio, giacché i dati sull’incidenza dell’obesità e, per estensione, sulle malattie cardiovascolari a livello mondiale, indicano che il fenomeno è sempre più diffuso a cominciare dall’età infantile e che esso ha pesanti conseguenze in età adulta. Un dato acquisto è che l’obesità infantile si associa a un tasso maggiore di mortalità cardiovascolare (per infarto e malattie coronariche, per ictus, per morti improvvise di cause sconosciute e per tutte le altre cause cardiovascolari) e di mortalità per cause diverse dopo i quarant’anni.
A quanto pare, non basta ricordare che mettendo in relazione l’obesità all’incidenza delle malattie cardiovascolari il trend di crescita di queste malattie venga confermato ovunque si facciano di queste rilevazioni. Serve uno sforzo in più, se lo scopo è quello di invertire questa tendenza consolidata.
Un suggerimento a questo proposito è quello di fare più attenzione alle narrazioni delle persone obese, ponendole in relazione a quelle dei famigliari e di chi, in genere, si prende cura della loro salute, medici compresi. Nel solco della medicina narrativa, il progetto Healthy, dal quale abbiamo tratto la storia di Giovanni e il virgolettato-manifesto della depressione nelle persone obese, si prefigge di vedere se, dando risalto alle narrazioni dei diretti interessati, si riesca a definire un modo nuovo di approcciarsi al problema al fine di diminuire l’incidenza dell’obesità nelle società.
La medicina narrativa (dall’inglese Narrative Medicine) è una metodologia che può aiutare a migliorare le cure e l’assistenza medica sfruttando le narrazioni dei malati e di tutti coloro che hanno un ruolo attivo nei percorsi di cura. La narrazione diventa lo strumento base di questa nuova disciplina che permette di comprendere e integrare i diversi punti di vista. Il fine è favorire un percorso di cura personalizzato. In questo modo, la Narrative Based Medicine (NBM) si integra con la Evidence Based Medicine (EBM) e, dopo avere fatto tesoro della pluralità delle prospettive, favorisce delle decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate.
«A oggi siamo ancora in una fase inziale del Progetto – ci ricorda Valeria Gatti, referente di Healthy per conto di ISTUD Area Sanità, il partner italiano di Healthy, che lavora accanto a BOSEV e COMU (Turchia), BULGARIA TRAINING (Bulgaria), DEFOIN (Spagna) e CPIP (Romania) – per il quale finora abbiamo raccolto 63 narrazioni dai partner: 32 di pazienti, 14 di caregiver e 17 di professionisti della salute». Un campione a maggioranza femminile (60%) ma degnamente rappresentato, rispetto agli standard, dalla componente maschile (40%), il cui livello di istruzione è, complessivamente, tutt’altro che scarso: 55% laureati, 39% diplomati e solo 6% con istruzione inferiore. Lo stato civile degli intervistati, la cui età media è di circa 40 anni, è a maggioranza di sposati (66%) seguito da divorziati (25%) e single (9%).
A quanto pare, la parola “corpo” (body) è un universale linguistico, presente in tutte le lingue e in tutte le culture, di tutti i tempi. Interrogati sulla loro percezione del corpo, facendo mente locale a tre diversi momenti della loro vita, e cioè prima di attivarsi per perdere peso, al momento dell’intervista e in futuro, le risposte più ricorrenti dei pazienti sono state, rispettivamente, «pesante», «ancora pesante» e «nella norma-in salute». Segno che, nella prospettiva di invecchiare, ciò che suscita maggiore preoccupazione è mettersi in regola con l’idea di salute, molto più che con l’estetica.
Uno spunto altrettanto interessante viene dalle domande ai caregiver. Interrogati sul ruolo dell’attività preponderante del proprio congiunto obeso prima e dopo essere diventati parte attiva del suo percorso di cura, i famigliari dichiarano che, se prima di entrare nell’ipotesi di un percorso di cura il loro caro aveva il chiodo fisso del cibo, a percorso avviato il chiodo fisso è diventato lo sport, inteso come movimento regolare e costante. Di pari passo notano che anche le relazioni con gli altri migliorano: i loro congiunti diventano molto più socievoli e curiosi verso il mondo esterno.
Sul fronte dei problemi riscontrati dagli operatori, emerge quanto segue: «Il paziente pensa che nulla possa cambiare»; «Non riescono a controllare il loro appetito e cambiare le loro abitudini alimentari per un lungo periodo»; «Il contesto sociale e la mancanza di informazioni sono un problema»; «Spesso i pazienti sono stati in questa condizione per molti anni e pensano di non poter migliorare loro stessi e la loro vita»; «Il cibo è visto come una forma di gratificazione compensatoria».
Gli obbiettivi di Healthy sono aumentare la conoscenza dell’obesità e combattere gli stili di vita scorretti allo scopo di prevenire questa condizione. Per farlo, si pensa di creare una guida arricchita con attività pratiche che diventi un facile strumento di consultazione per le persone che lottano contro l’obesità, per i loro famigliari, gli insegnanti e gli operatori. «ISTUD ha suggerito l’utilizzo della medicina narrativa per i seguenti motivi – spiega Maria Giulia Marini, responsabile per Istud dell’Area Sanità – per approfondire la conoscenza dell’obesità e della vita delle persone con obesità raccogliendo le loro testimonianze; per avere l’occasione di incontrare i professionisti nel campo; infine per usare le narrazioni come strumenti da cui apprendere».

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