Una ricerca presentata al Congresso della Società Europea di Cardiologia del 2023, il 28 agosto ad Amsterdam, ha sottolineato l’importanza di assumere regolarmente la cardioaspirina dopo un evento cardiovascolare. Per chi non lo sapesse, la cardioaspirina non è altro che l’acido acetilsalicilico, cioè la normale aspirina, con un dosaggio da 100 mg. La normale aspirina in compresse ha un dosaggio cinque volte superiore, 500 mg per ogni pastiglia. In questo studio specifico sono stati analizzati i dati relativi a oltre 40 mila pazienti colpiti per la prima volta da infarto, di età superiore ai 40 anni, contenuti nei registri sanitari nazionali danesi. I ricercatori sono andati a controllare quali pazienti continuassero ad assumere una dose giornaliera di acido acetilsalicilico due, quattro, sei e otto anni dopo l’infarto e sono andati a valutare le loro condizioni di salute. Dall’analisi dei dati è emerso che i pazienti che non hanno assunto regolarmente l’acido acetilsalicilico al dosaggio raccomandato hanno evidenziato un rischio superiore del 20%-40% di avere un altro infarto, di ictus o di morte. La protezione offerta da questo trattamento farmacologico sembra scemare con il tempo, anche se gli autori dello studio si sono riservati di controllare l’attendibilità statistica di quest’informazione. Lo studio ha accolto le linee guida che raccomandano ai pazienti che hanno patito un infarto di assumere una dose quotidiana di acido acetilsalicilico per evitare ulteriori problemi cardiovascolari.
Vista l’importanza di seguire questo trattamento dopo una malattia cardiovascolare (CVD), viene da chiedersi però, quale sia l’aderenza alla terapia con acido acetilsalicilico a basso dosaggio nei paesi a basso, medio e alto reddito? Ha provato a rispondere al quesito uno studio recente pubblicato sulla rivista «Jama». In questo lavoro di ricerca è stata effettuata un’anali trasversale che ha utilizzato i dati provenienti da indagini sanitarie rappresentative a livello nazionale condotte tra il 2013 e il 2020 in 51 Paesi a basso, medio e alto reddito, svolte su persone di età compresa fra i 40 e i 69 anni che hanno riferito circa l’utilizzo di acido acetilsalicilico e sua assunzione a seguito di un evento cardiovascolare. Dall’analisi di questa mole di dati effettuata dai ricercatori della Washington Universitye dell’Università del Michigan è emersa una discrepanza fra l’uso del farmaci fra i paesi a basso e alto reddito. In Etiopia, Benin e Afghanistan l’aderenza terapeutica si ferma al 16,5% mentre in nazioni come l’Inghilterra, gli Stati Uniti e altre aree sviluppate la percentuale sale al 65%. Lo studio in questione ribadisce come ai fini dell’aderenza terapeutica giochino un ruolo fondamentale i fattori socioeconomici, l’accessibilità alle cure e la consapevolezza sulla prevenzione cardiovascolare.
Diverso è il discorso per quanto riguarda la prevenzione primaria, ovvero in soggetti senza storia, segni né sintomi di CVD. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è posta l’obiettivo che almeno il 50% delle persone idonee ricevano qualche tipo di terapia farmacologica e consulenza per prevenire infarti e ictus. L’acido acetilsalicilico svolge un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento delle CVD. Per quanto riguarda, tuttavia, il suo uso in prevenzione primaria, nel 2016 la US Preventive Services Task Force(USPSTF) aveva elaborato delle raccomandazioni che ha aggiornato nel 2022 dopo aver effettuato una revisione sistematica della letteratura sull’efficacia di questo farmaco nel ridurre il rischio di eventi CV (infarto miocardico e ictus), mortalità cardiovascolare e mortalità per tutte le cause in persone senza CVD. Il ruolo positivo svolto dalla terapia con acido acetilsalicilico è riconducibile all’inibizione esercitata sull’aggregazione piastrinica capace di ridurre il rischio di aterotrombosi, ecco perché è così largamente utilizzata per la prevenzione degli eventi CV, in particolare in prevenzione secondaria. L’impiego in prevenzione primaria, invece, è molto dibattuto, poiché vanno bilanciati i potenziali benefici nel ridurre gli eventi CV con l’aumentato rischio di sanguinamenti (gastrointestinali, intracranici e ictus emorragico) correlati al suo utilizzo, rischio che aumenta all’aumentare dell’età. Dopo la revisione, l’USPSTF consiglia di avviare la terapia a basso dosaggio in prevenzione primaria, nei pazienti di 40-59 anni con rischio a 10 anni ≥ 10% su base individuale. La probabilità di beneficiarne, infatti, sarà maggiore nei pazienti senza rischio di sanguinamento e disposti all’assunzione quotidiana del farmaco. Per l’assenza di beneficio, si sconsiglia l’avvio di terapia nei pazienti con età ≥ 60 anni. È stata mantenuta, infine l’indicazione a considerare l’interruzione del farmaco dai 75-80 anni di età, per la riduzione del suo beneficio in profilassi primaria.