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Il manifesto della convention annuale regionale ANMCO del Piemonte-Valle d’Aosta, tenutasi in forma telematica nei giorni 8 e 15 ottobre scorso.

«Le cardiologie sono diventate terra di conquista. L’ho scritto in una lettera di doglianze indirizzata all’assessorato regionale alla salute. Ho voluto mettere al corrente il decisore politico che il tentativo in atto di occupare quante più cardiologie possibili per farne reparti covid rischia di aprire scenari non meno pericolosi di quelli ai quali si sta cercando di porre rimedio». A parlare è il dottor Federico Nardi, cardiologo dell’ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato. Nardi è anche presidente ANMCO (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri) della Regione Piemonte e Valle d’Aosta e candidato alla Presidenza Nazionale.
A suo parere non è un caso se si è verificato un aumento importante della mortalità cardiologica durante la prima ondata. In Piemonte, per esempio, coronagrafie e angioplastiche per i pazienti con infarto del miocardio acuto (IMA) si sono ridotte del 50%: le 3640 coronagrafie e le 2083 angioplastiche eseguite fra marzo e aprile 2019 sono scese, rispettivamente, a 1782 e 1106 nel 2020. Il dato è emerso nel corso della convention annuale regionale ANMCO del Piemonte-Valle d’Aosta, tenutasi in forma telematica nei giorni 08 e 15 ottobre scorso.
Durante la prima ondata Nardi, oltre ricoprire il ruolo di Direttore della cardiologia, era responsabile COVID dell’ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato e direttore sanitario dello stesso Presidio Ospedaliero ad interim: sostituiva il titolare che si era ammalato di covid. «In quel periodo ho dovuto gestire, tra gli altri, due casi che fanno capire meglio di altri quale fosse l’emergenza cardiologica di marzo-aprile». Si riferisce a due decessi per infarto avvenuti fra le mura domestiche, quello di uomo di poco più di 40 anni e quello di un ultra 60enne. Entrambi i pazienti non sono giunti all’attenzione della cardiologia di Casale perché, pur stando male, non sono andati in PS per paura di infettarsi con il virus. «Almeno uno dei due era perfettamente consapevole dei rischi che stava correndo stando a casa. Aveva già sperimentato l’infarto».

Federico Nardi, cardiologo dell’ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato. Nardi è anche presidente ANMCO (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri) della Regione Piemonte e Valle d’Aosta e candidato alla Presidenza Nazionale.

La situazione di oggi, in piena seconda ondata, non è cambiata. Diverse cardiologie lavorano di nuovo a ranghi ridotti per far posto ai pazienti covid. A dettare la conquista sono le necessità di ampliamento dei posti letto nei reparti di terapia intensiva e sub-intensiva. «È vero, nessun paziente va abbandonato, però bisogna considerare l’impatto secondario di queste scelte. Chiudendo le cardiologie e i loro reparti intensivi stiamo dando un pessimo segnale ai pazienti per i quali sono stati concepiti. Di fatto stiamo dicendo loro non venite né oggi né domani perché siamo in emergenza, e finita l’emergenza ci servirà altro tempo per la sanificazione. Niente di più negativo in pazienti al secondo posto per mortalità e al primo per incidenza delle malattie nella popolazione».

Il problema qual è? È emerso che durante il primo lockdown c’è stato un aumento del 58% della mortalità negli arresti cardiaci extra-ospedalieri. «Una diminuzione consistente degli accessi ospedalieri, superiore al 50%, si è verificata anche nelle zone meno colpite dal covid». Inoltre, la mortalità è triplicata nei pazienti ricoverati, soprattutto quelli con scompenso cardiaco. «Questo perché i pazienti arrivano in ospedale quando ormai non c’è più niente da fare».
E i cardiologi, possono fare qualcosa per migliorare la situazione, anche per il “tempo di pace”? «In cardiologia vi è una richiesta diagnostica che va oltre il reale fabbisogno. Capita quando i medici si conformano ad approcci superficiali o eccessivamente ed inutilmente eccessivi. Gli esami inutili hanno come rovescio della medaglia un aumento dei tempi d’attesa, risorse sottratte ad altro di più necessario e l’aumento dei costi in Sanità. Ne parlo nell’anno in cui, a gennaio, è uscito un documento di consenso nazionale sull’appropriatezza diagnostica nelle patologie cardiovascolari, messo a punto nell’intento di migliorare la situazione appena descritta. Il documento è stato pubblicato dopo quattro anni di duro lavoro». È un paper che si fregia del consenso delle principali società scientifiche, fra le quali l’ANMCO, la Società italiana di radiologia, quella della Diagnostica ecografica, … «Io ne sono coordinatore e primo autore insieme ad altri quaranta colleghi, fra cardiologi, radiologi e colleghi di medicina nucleare. È focalizzato sull’appropriatezza diagnostica definita sulla scorta delle varie linee guida, nazionali e internazionali. Ogni singolo esame è contrassegnato con un punteggio, per identificarlo in base ai vari scenari clinici, fra principali e secondari. Per esempio, il paziente inserito nel follow-up di scompenso cardiaco secondario a una cardiopatia ischemica va trattato diversamente da un altro con scompenso acuto. Gli esami non sono gli stessi. Si valuta la loro appropriatezza a seconda dei differenti scenari clinici». Razionalizzazioni di estrema importanza adesso, in cui le liste d’attesa sono appesantite dagli esami che si trascinano dai tempi della prima ondata. «Quelle che chiamiamo le attività non urgenti, contrassegnate con la lettera P e D, sono state quasi tutte posticipate a causa dell’emergenza covid. Aggiungendo il tempo della sanificazione degli ambienti e altre ulteriori complicazioni dettate dalla pandemia, ecco spiegato perché di tempo per recuperare il pregresso ne è rimasto poco». Insomma, sta succedendo che gli esami accumulati nella prima ondata si vanno a sommare a quelli che vengono programmati nella seconda.
Il documento è apparso sul Giornale Italiano di Cardiologia, l’organo di informazione scientifica ufficiale per la cardiologia italiana, di dominio pubblico fra gli addetti ai lavori: «non solo fra i cardiologi, ma anche fra altri colleghi, compresi i medici di medicina generale, presso i quali viene caldeggiato, per le buone pratiche legate alla prevenzione primaria e secondaria». A dire il vero, Nardi e colleghi sperano che il documento venga recepito anche dai decisori politici, almeno a livello regionale: la disponibilità di cure cardiologiche più mirate porterebbe a un riassetto virtuoso delle prestazioni da rimborsare.

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