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di Riccardo Segato

La causa più frequente della stenosi carotidea è l’aterosclerosi, ovvero il formarsi della placca nella biforcazione carotidea. La placca provoca un restringimento dei vasi che impedisce il normale flusso di sangue al cervello. L’ictus è la conseguenza più grave. Altre cause di stenosi della carotide sono l’ipertensione arteriosa, il tabagismo, l’età avanzata, l’ipercolesterolemia, le dislipidemie, l’obesità, l’alcool e l’uso di contraccettivi orali per le donne

Aprile dolce dormire ma non per la prevenzione cardiovascolare. Aprile infatti è il mese dedicato alla prevenzione dell’ictus. L’ictus è fuori di dubbio la conseguenza più grave della stenosi carotidea. Basti pensare che nel mondo occidentale esso rappresenta la terza causa di morte dopo i tumori e le cardiopatie. Si parla di ictus quando il paziente è colpito da un’interruzione completa dell’irrorazione sanguigna.

Le carotidi sono dei segmenti arteriosi che portano il sangue al cervello. La principale patologia che interessa questi vasi sanguigni è la formazione della placca ateromasica. Tale placca procura dei restringimenti a carico dei vasi (stenosi). Le stenosi carotidee creano all’interno dei vasi uno scorrimento insufficiente del sangue fino al cervello. Inoltre, la placca ateromasica può polverizzarsi in piccoli frammenti che si staccano e vanno verso il cervello attraverso i vasi cerebrali (embolie cerebrali) dove possono provocare lesioni. La stenosi carotidea in molti casi è asintomatica fino all’avverarsi di un evento ischemico cerebrale. L’ictus, appunto.

La causa più comune della stenosi carotidea è l’aterosclerosi, più spesso secondaria a: ipertensione arteriosa, tabagismo, età avanzata, sesso maschile, ipercolesterolemia, dislipidemie, obesità, alcool e uso di contraccettivi orali per le donne.

L’aterosclerosi è una malattia che può interessare le pareti di tutte le arterie dell’organismo. È caratterizzata da una deposizione progressiva di lipidi nello spessore delle pareti delle arterie. È così che si determina la formazione della placca che riduce il lume del vaso e ne determina il restringimento fino alla occlusione.

La sede dove più frequentemente si può formare la placca ateromasica nell’arteria carotide è la cosiddetta biforcazione carotidea, che è il punto in cui l’arteria carotide comune si divide in arteria carotide interna (che porta sangue al cervello) e arteria carotide esterna (che porta sangue al viso).

Sono vari i fattori che combinati insieme possono aumentare il rischio di lesioni, la formazione di placche e l’insorgenza di stenosi carotidee. Per esempio l’ipertensione. La pressione alta è un importante fattore di rischio per la malattia ostruttiva dell’arteria carotidea. Un eccesso di pressione sulle pareti delle arterie le indebolisce e le rende più vulnerabili ai danni.

Il fumo. La nicotina danneggia il rivestimento interno delle arterie. Inoltre, fa aumentare sia battiti cardiaci sia la pressione arteriosa.

L’età. Fra i 65 e gli 85 anni d’età le persone hanno più probabilità di essere colpite da stenosi carotidea, molto più di rado in età giovanile. Succede che, invecchiando, le arterie tendono a perdere elasticità.

La dislipidemia. Alti livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL, il colesterolo “cattivo”) e di trigliceridi nel sangue favoriscono la formazione di placche ateromasiche.

Il diabete. Il diabete è una patologia che, oltre a influenzare la presenza incontrollata di glucosio, riduce la capacità dell’organismo di elaborare in modo efficiente i grassi, favorendo un rischio maggiore di ipertensione e aterosclerosi.

L’obesità. L’eccesso ponderale favorisce altri fattori di rischio come l’ipertensione, le malattie cardiovascolari e il diabete.

L’ereditarietà. In presenza di una storia familiare di aterosclerosi o di malattia coronarica, il paziente presenta un rischio maggiore di sviluppare le stenosi carotidee.

Inattività fisica. La mancanza di un esercizio fisico regolare favorisce l’insorgenza dell’ipertensione, del diabete e predispone all’obesità.

Dopo l’anamnesi completa, la definizione dei fattori di rischio e la valutazione degli eventuali segni e sintomi, si procede con l’esame obiettivo, grazie al quale il medico ausculta la carotide posizionando uno stetoscopio a livello del collo, per rilevare suoni simili a un “risucchio”, ovvero il suono caratteristico del flusso sanguigno turbolento provocato dalla presenza di placche ateromasiche. A seguire, il medico può effettuare una valutazione neurologica per verificare lo stato fisico e mentale del paziente, tra cui le capacità di equilibrio e di resistenza, quelle mnemoniche e di logos. Oltre al paziente, durante l’esame obiettivo, il medico interroga i familiari per meglio definire i sintomi.

Se il paziente ha già avuto stati confusionali, il medico cerca di capire se e su quali parti del corpo può aver avvertito del formicolio, se ha perso le facoltà di linguaggio, se gli è mancata la coordinazione motoria ecc. Inoltre, è molto importante che il medico capisca se l’individuo ha una storia familiare di ictus, di ischemia transitoria, d’infarto, se è affetto da ipertensione cronica, colesterolo alto, aritmie ecc.

Le principali manifestazioni di tale quadro patologico sono inerenti all’attacco ischemico transitorio (TIA) e all’ictus. Il TIA (Transient Ischemic Attack) si verifica quando la sintomatologia è coincidente con un ridotto flusso sanguigno che provoca disturbi temporanei della vista, della sensibilità percettiva, della parola e della stabilità. Il TIA ha una durata limitata (per convezione, meno di 24 ore), tuttavia la durata può essere anche molto breve, al punto che quando il paziente raggiunge il reparto di pronto soccorso per i controlli, il disturbo può essere già scomparso. Con l’aiuto degli esami clinici e strumentali, è possibile chiarire quale area del cervello è stata colpita e quali sono le cause. Accertarsi che si è trattato effettivamente di un TIA è utile al medico per impostare la terapia più appropriata.

Molto spesso l’evento acuto si manifesta con un attacco ischemico transitorio, dovuto a un minor afflusso di sangue al cervello (ischemia) di breve durata. Una situazione che, colpendo solo una parte del cervello, genera sintomi spesso lateralizzati.

La stenosi carotidea viene trattata quando il lume è ridotto del 70% anche se il paziente è asintomatico. Per valori di stenosi compresi fra 60-70% l’intervento viene effettuato solo in presenza di determinati sintomi.

Esistono due scelte di trattamento. La prima opzione è l’angioplastica (PTA – angioplastica transluminale percutanea), eseguita da un radiologo interventista. La seconda opzione è l’intervento chirurgico a cielo aperto, eseguito dal chirurgo vascolare o dal neurochirurgo.

Nell’angioplastica, un catetere viene inserito a livello dell’inguine con il compito di raggiungere l’arteria carotide. Attraverso un palloncino gonfiabile viene dilatata la stenosi e si procede al posizionamento di uno stent che assicura che tale regione dilatata rimanga pervia. L’angioplastica trova sempre maggiore applicazione, essendo un intervento molto meno invasivo di quello chirurgico. Il tasso di complicanze dell’angioplastica sulla carotide è ridotto. Inoltre, è indicata per stenosi di difficile accesso chirurgico e per pazienti che presentino un elevato rischio di complicanze operatorie.

In caso di ictus cerebrale è importante che il paziente venga preso in carico da una qualificata terapia ospedaliera, per avviare tempestivamente una precoce terapia riabilitativa delle funzioni disturbate (fisioterapia, logopedia). Lo scopo è ottenere il massimo recupero possibile e istruire il paziente a servirsi di tecniche di movimento appropriate ai deficit motori. La fisioterapia servirà anche a prevenire l’irrigidimento di tutte articolazioni che, di solito, è conseguente all’irrigidimento muscolare secondario a paralisi estese.

Da non sottovalutare, una maggiore labilità psichica con tendenze depressive in fase post ictus. Sono alterazioni del comportamento che devono essere trattate nel rispetto della storia individuale del paziente, sia in fase di psicoterapia, sia di eventuale ricorso di farmaci antidepressivi.

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