Quelli che sospendono la pastiglia per la pressione della sera, che tanto vanno a letto presto; quelli che non prendono la statina, che tanto fa caldo e mangiano di meno; quelli che non sanno nemmeno più quale pastiglie si scordano di prendere, a rotazione forse un po’ tutte, che tanto per queste cose non hanno più la testa… Oh yes! Stiamo parafrasando la nota canzone “Quelli che…” ricorrendo a un cliché che forse non sarebbe dispiaciuto al suo autore Enzo Jannacci, che com’è noto era un cardiologo, il cliché del paziente cardiovascolare scarsamente aderente alla terapia, in ossequio alla galleria dei soggetti surreali immortalati in questa splendida canzone dal testo cangiante, nella quale il tema ricorrente coincide con la parodia di persone che hanno perso la bussola e si riducono a fare una cosa credendo di farne un’altra, convinte di agire di testa propria mentre, invece, sono solo in lotta con i luoghi comuni.
Parodie a parte, il problema della scarsa aderenza farmacologica in ambito cardiovascolare è serio. Se n’è discusso alla Tavola interregionale – evento virtuale – lo scorso 30 maggio, alla presenza di esperti, medici, politici e presidenti di associazioni di settore. «Un’importante occasione di dibattito per evidenziare le criticità nell’aderenza terapeutica in ambito cardiovascolare e discutere il ruolo dei farmaci a dose-fissa nel favorirla» è specificato nel report dell’evento. Questo perché uno dei motivi per cui la gente fa fatica a aderire senza errori al proprio piano terapeutico è l’alto numero di farmaci – fra antipertensivi, antiaggreganti e statine – che deve assumere quotidianamente, per mantenere sotto controllo la pluralità dei sintomi, che, in riferimento a quelli cardiovascolari, sono la maggioranza nella maggioranza della popolazione. Al punto che la non-aderenza è da considerare un fattore di rischio cardiovascolare di per sé.
AIFA si è posta l’obiettivo di monitorare l’appropriatezza d’uso dei farmaci. A questo scopo, si affida ai dati estrapolati dai flussi amministrativi relativi alle prescrizioni erogate attraverso la tessera sanitaria. Secondo questi dati (OsMed 2020), l’alta aderenza e la persistenza dei farmaci anticoagulanti, antiipertensivi e antiaggreganti sono ‘’sub-ottimali’’ (≤80%), mentre per quella degli ipolipemizzanti la percentuale di alta aderenza e persistenza è inferiore al 50%; le donne sono tendenzialmente meno aderenti/persistenti degli uomini; l’aderenza e la persistenza subiscono una forte riduzione nei soggetti più anziani, in particolare negli over 85 anni. Con persistenza s’intende il tempo che passa fra l’inizio e l’interruzione di un trattamento farmacologico prescritto.
Va anche ricordato che più aumenta la complessità dello schema terapeutico, più è difficile mantenere l’aderenza terapeutica. Il che, in base ai risultati di indagini prospettiche, ha portato a concludere che le terapie di combinazione a dosaggio fisso, che associano due o più principi attivi in un’unica pillola, rappresentano una valida opportunità per la riduzione complessiva del rischio cardiovascolare. In altre parole, l’adozione della combinazione di più principi attivi in un’unica pillola si prospetta come un’alternativa terapeutica in grado di comportare benefici in termini di efficacia e tollerabilità, migliorando l’aderenza alle terapie di prevenzione cardiovascolare e riducendo i costi sanitari: il costo delle pillole singole è inferiore alla somma dei costi dei singoli farmaci.
Si stima anche che l’utilizzo delle associazioni di farmaci, in base allo scenario ipotizzato, porterebbe a un risparmio annuo per paziente nell’ordine di 248 – 320 euro. Effettuando simulazioni su scala nazionale, il risparmio si aggirerebbe sui 100 milioni di euro l’anno. Il risparmio comprende anche quello derivante dal miglioramento degli outcome clinici dei pazienti, nel senso che laddove l’aderenza terapeutica migliora, i ricoveri per causa cardiovascolare diminuirebbero di numero e, verosimilmente, come durata.
Semplificare lo schema terapeutico attraverso l’utilizzo di farmaci a dose fissa è una delle prime strategie da applicare. Accanto, l’implementazione di figure a supporto del medico, come l’infermiere esperto, per educare i pazienti a un corretto uso di farmaci. Inoltre, una presa in carico del paziente programmata, finalizzata a occasioni di controllo e “rinforzo” terapeutico. Infine, una migliore comunicazione medico-paziente e medico-caregiver: la parola del medico, tanto più se calafata su reali necessità, può agire sul paziente alla stregua dei farmaci migliori.