Un tempo c’erano le fabbriche e le malattie professionali fra cui quelle cardiovascolari. Ora le fabbriche sono diminuite e sono migliorati gli standard occupazionali a tutela della salute. Ma il fenomeno delle malattie professionali è ancora lontano dall’esaurirsi. Anzi, si può dire che abbia mutato di forma insieme ai cambiamenti avvenuti sui luoghi di lavoro. Oggi ci si ammala di malattie cardiovascolari, per lo più a causa di stress e turnazioni troppo onerose
Inquadrare le malattie cardiovascolari causate dal lavoro non è facile, in quanto ci sono fattori che nulla hanno a che fare con l’occupazione e che creano confusione, impedendo la netta rispondenza fra cause ed effetti. I principali fra questi fattori sono l’età, l’ipertensione arteriosa, l’indice di massa corporea, le dislipidemie, la dieta, il tabagismo, la sedentarietà, le malattie precedenti e interconnesse, l’inquinamento ambientale. A rendere il quadro ancora più incerto è riscontrare che il paziente in cui si sospetta l’origine professionale della malattia cardiovascolare presenta gli stessi sintomi del paziente che fa capo alla popolazione in generale. Che è un po’ come dire che le cartelle cliniche dei due pazienti sono sovrapponibili. Come se non bastasse, non si può neppure escludere che l’esposizione professionale venga a peggiorare un quadro clinico in cui i disturbi cardiovascolari siano preesistenti. Ragion per cui classificare le malattie cardiovascolari professionali è tutt’altro che agevole. Chi ci si è provato si è servito del criterio eziologico (le cause) per arrivare a ripartire le malattie in tre grandi categorie. Le malattie cardiovascolari causate da agenti fisici, da agenti chimici e infine a tutto ciò che è stanchezza fisica e stress correlati alle condizioni e all’organizzazione del lavoro. Sia che si manifestino in modo acuto oppure cronico, le malattie cardiovascolari riconosciute dalla Medicina del Lavoro sono: ipertensione arteriosa, coronaropatie, cardiopatia ischemica, miocardiopatie, aritmie, microangiopatie e vasculopatie. Senza entrare nel dettaglio del quadro clinico che caratterizza ciascuna di queste malattie, veniamo piuttosto a elencare agli agenti patogeni in grado di scatenarle. Per quanto riguarda la categoria degli agenti chimici, l’elenco delle sostanze dannose per la salute del cuore e delle arterie è lungo e variegato.
C’è il piombo, un metallo pesante che si deposita nell’organismo principalmente per via respiratoria. Nell’industria è presente in svariati cicli produttivi. È rintracciabile nei collanti, nei solventi, nelle vernici e nei carburanti. Il piombo è responsabile dell’ipertensione arteriosa e delle alterazioni del metabolismo. Per quanto concerne la malattia cardiovascolare cronica, l’intossicazione protratta da piombo, molto frequente nei Paesi occidentali, va a colpire i distretti cerebrale, renale, coronarico e periferico degli arti inferiori.
Il mercurio è un altro metallo pesante killer per cuore e arterie. Il mercurio provoca l’ipertensione arteriosa (in particolare, incremento della sistolica) la quale diventa ben presto un sintomo manifesto di arteriosclerosi diffusa: a carico di reni, distretto cerebrale e coronarico. Ogni processo che abbia a che fare con il calore – combustione di rifiuti, incendi, uso di combustibili fossili – libera nell’aria una certa quantità di questo metallo pesante.
Vi è poi il cadmio, inalato in dosi massicce nell’industria ove questo metallo viene raffinato. Inoltre, il cadmio mette a rischio la salute degli addetti alla produzione di batterie elettriche, pigmenti, rivestimenti e placcatura di materiali plastici. Il cadmio va a compromettere la struttura dell’endotelio e, in particolare, del rene, organo nel quale si accumula in maniera privilegiata. L’intossicazione da cadmio è alla base dell’ipertensione arteriosa di origine professionale.
Nell’elenco degli agenti chimici spicca per danni diffusi il solfuro di carbonio, il cui contatto prolungato è responsabile di fenomeni di aterosclerosi, già in età presenile, a carico di cervello, retina, cuore, vasi periferici degli arti inferiori. La malattia più frequente è la vasculopatia periferica che colpisce le gambe, provocando vistosi difetti di deambulazione. Il solfuro di carbonio è largamente utilizzato nella produzione di filati sintetici, dal raion alla viscosa, e nella lavorazione della gomma.
Più dibattuta, invece, è l’importanza del monossido di carbonio. Ci sono infatti studi che attribuiscono a questa sostanza, presente nei fumi di scarico dei processi di combustione e riscaldamento, una rilevante azione cardiotossica. Per alcuni ricercatori, invece, la tossicità a carico di cuore e arterie è acclarata se combinata con altri fattori di rischio. In ogni caso, è un agente patogeno che si manifesta nelle coronarie.
Un altro fattore di rischio è rappresentato dai nitroderivati. I nitroderivati sono composti organici utilizzati nella lavorazione di sostanze chimiche, per la produzione dei coloranti e dei pigmenti tessili, per la produzione di colori, vernici e carta da parati. Fra le maestranze che ne vanno soggette sono stati osservati casi di infarto del miocardio, morti improvvise coronariche ed episodi di angina.
Infine ci sono gli idrocarburi adrogenati, responsabili di aritmie, microcardiopatie e morti improvvise, in particolare in soggetti con coronopatie preesistenti. Sono i gas responsabili del buco nell’ozono; si trovano in bombole spray, nella schiumatura delle materie plastiche, negli impianti di raffreddamento, nei processi di pulizia tecnica e nei dispositivi e materiali utilizzati nella protezione antincendio.
Per quanto riguarda gli agenti fisici, invece, il rumore prodotto dagli impianti industriali diventa dannoso, oltre che per i timpani, per il sistema coronarico nel suo complesso. In particolare, è stata notato che fra gli addetti esposti a un rumore extra soglia si verificano fenomeni acclarati di ipertensione arteriosa e infarto acuto del miocardio. I danni maggiori sono stati studiati in soggetti con preesistente coronopatia. Infine, a quanto risulta, l’esposizione al rumore produce forme di ipercolesterolemia e di stress cardiovascolare generalizzato.
Vi sono poi le vibrazioni, di cui vanno soggetti i lavoratori che utilizzano martelli pneumatici e strumenti affini. Per costoro il rischio è quello di malattie vasomotorie delle mani e delle braccia che si irradiano sovente su altri distretti cardiocircolatori.
Non meno dannose le radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Le prime sono presenti nei raggi X e in altre strumentazioni di diagnostica e ricerca medico scientifica. I danni cardiovascolari che provocano sono a carico dell’endotelio, la sostanza di cui sono fatte le arterie. Le radiazioni non ionizzanti, invece, che colpiscono per esposizione a microonde e radiofrequenze, producono energia termica che va a fare danni a livello capillare. A dosaggi più bassi, provocano bradicardia, instabilità pressoria e anomalie riscontate dall’elettrocardiogramma.
Vi sono infine i danni cardiaci tra i sottoposti ad alte e basse temperature. Frigoristi e operai degli altiforni, giusto per citare gli antipodi delle due esposizioni termiche di più facile immaginazione, vanno soggetti a ipertrofia miocardica e cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco e sfiancamento aortico in quanto i forti sbalzi termici aumentano l’attività contrattile e il dispendio energetico del muscolo cardiaco.
Ultimo ma non per importanza, gli agenti psicosociali e organizzativi che sono causa di stress occupazionale e stanchezza psico-fisica da lavoro e turni e che hanno ripercussioni negative sull’intero apparato cardiovascolare nei modi che andiamo a elencare. L’esposizione a eventi stressogeni favoriscono l’innalzamento dell’ipertensione arteriosa, la coronopatia aterosclerotica, la cardipatia ischemica e la cerebropatia vascolare. Inoltre, lo stress induce il soggetto a modificare il proprio stile di vita con conseguenze peggiorative sulla salute, a causa di una dieta disordinata, fumo, alcol e sedentarietà, che sappiamo essere i più noti fattori di rischio delle malattie cardiovascolari nel loro complesso.
A fronte di queste conoscenze, la Medicina del Lavoro ha ed ha avuto per compito quello di segnalare a chi di competenze che per sfruttare al meglio la medicina preventiva bisogna porsi come obbiettivo la riduzione dei fattori di rischio professionali. In questa prospettiva lo scenario delle malattie cardiache correlate al lavoro è mutato significativamente dalla seconda metà del secolo scorso. Se l’esposizione a sostanze chimiche e fisiche è diventata meno rilevante, sono invece aumentati i danni causati da un’organizzazione del lavoro, ancora largamente deficitaria. Stress e stanchezza psicofisica sembrano essere diventati la costante anche in professioni che una volta sembravano al riparo dagli agenti patogeni occupazionali. In altre parole, un numero considerevole di colletti bianchi e impiegati, piccoli esercenti e addetti alle vendite, professionisti e manager – vale a dire l’intera gamma o quasi del settore terziario – accusa disturbi di natura cardiovascolare per colpa di stress e nervosismi covati in ambito lavorativo.