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di Cristina Mazzantini

Una pressione sistolica sotto ai 120 mmHg è in grado di ridurre sensibilmente l’infarto, l’ictus e altre gravi malattie cardiovascolari. È quanto emerge da un importante studio americano che promette di livellare verso il basso gli attuali parametri di ipertensione. Al medico il compito di usare cautela in alcuni casi, per evitare gli effetti collaterali dovuti a cali di pressione improvvisi

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All’improvviso mancano le forze. O si avverte un formicolio al braccio o a una gamba. E ancora. Si ha difficoltà a parlare e nel vedere da un lato. Che succede? È il caso di rivolgersi a un medico o, meglio, di chiamare il 118. Il motivo? Sono questi i sintomi tipici dell’ictus o, meglio, i campanelli d’allarme con cui si presenta il “nemico” che compare senza dolore e che, se non s’interviene rapidamente, può essere letale. Molti ignorano che l’ictus cerebrovascolare rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa di disabilità nell’adulto. In Italia sono circa 185mila le persone colpite da ictus: un uomo su 6 e una donna su 5 possono andare incontro a questa malattia cerebrale nel corso della propria vita. Queste cifre sono state comunicate dai massimi esperti in occasione della recente Giornata mondiale dell’ictus. Tuttavia non ci si è limitati a dare dei numeri ma anche a fornire ai cittadini informazioni utili per ridurre i danni. Una buona notizia è che oggi esiste un intervento di trombectomia meccanica in grado di “ripulire” le arterie e ridurre la disabilità conseguenza dell’ictus.

Per saperne di più abbiamo intervistato il professor Salvatore Mangiafico, neuroradiologo interventista all’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze, che stato è il primo al mondo a realizzare un intervento di trombectomia meccanica con lo “stent Retriever Solitaire” nel 2008.

Professor Mangiafico, quali interventi sono possibili in caso di ictus ischemico?

‹‹Il primo trattamento è di tipo farmacologico – la trombolisi per via endovenosa –, ossia la somministrazione di un farmaco trombolitico in vena entro le prime 4 ore e mezza dall’evento. Solo successivamente si può effettuare la procedura di trombectomia meccanica, ossia la disostruzione dell’arteria con un sistema – detto sentriever – che rimuove il coagulo dall’arteria colpita e che salva il tessuto cerebrale››.

Qual è il ruolo della procedura di trombectomia con stent Retriever in fase acuta?

‹‹È una metodica di disostruzione che si rivolge a pazienti selezionati, portatori cioè di un’occlusione di un’arteria intracranica maggiore, ovvero una grande arteria cerebrale. Si tratta di arterie di grosso calibro per le quali da soli i farmaci per via endovenosa non riescono a sciogliere il coagulo. Quindi si rende necessario un intervento aggiuntivo››.

In che cosa consiste la procedura che avete messo a punto? Si tratta di trattamento chirurgico oppure endovascolare?

‹‹Si effettua un accesso endovascolare ossia si punge l’arteria femorale e s’introduce nell’arteria un catetere, all’interno del quale si inseriscono altri piccoli cateteri, risalendo le arterie cerebrali fino a raggiungere il punto di occlusione. A quel punto si apre lo stent all’interno del coagulo e il sistema si porta via il coagulo stesso, trascinandolo. In pratica, si “ripulisce” l’arteria››.

Quanto tempo occorre per effettuare la procedura ed entro quanto dall’evento di ictus ischemico?

‹‹Questo tipo di intervento va eseguito possibilmente entro le 6 ore dall’insorgenza dei sintomi. Oltre questo termine, infatti, la maggior parte del tessuto cerebrale diventa necrotico nella maggior parte dei pazienti e l’intervento non porterebbe alcun beneficio al malato. Per quanto riguarda l’esecuzione della procedura, i tempi variano fra i 40 e i 60 minuti a seconda del numero di passaggi con il  sentriever››.

Quali sono i benefici per i pazienti? E le capacità di recupero?

‹‹Riaprendo l’arteria si ristabilisce il flusso sul territorio cerebrale interessato e tutto ciò che non è compromesso torna a vita normale. Pertanto, questo intervento salva il tessuto cerebrale che altrimenti morirebbe. Un ictus ischemico, infatti, interessa anzitutto una zona specifica, detta “core ischemico”, rappresentata da un tessuto ormai necrotico che è lesionato in modo irreversibile, ma anche da una zona limitrofa, detta “penombra ischemica”, che non è definitivamente compromessa e può quindi essere salvata e sopravvivere. Riuscire a ridurre il danno e la parte di cervello colpita in modo irreversibile significa ridurre la mortalità e la disabilità, rendendo i pazienti autosufficienti laddove, se non si intervenisse, gli stessi potrebbero non esserlo più››.

La trombectomia meccanica con stentriever è sempre efficace?

‹‹Il risultato medio in termini di outcome positivo (pazienti che “guariscono”) per questa procedura è pari al 40/50% dei casi. Si tratta di una disabilità residua limitata. Questi sono i dati del Registro nazionale. Negli ultimi quattro anni il numero di procedure in Italia ha raggiunto complessivamente i 2000 casi, ossia da 500 a 600 procedure l’anno, che sono ancora molte poche perché rappresentano il 7% del totale dei pazienti potenzialmente candidabili. C’è ancora molto lavoro da fare, se pensiamo che bisognerebbe arrivare a trattare fino a 7000 casi l’anno››.

Se il potenziale di pazienti trattabili è alto, perché il numero di casi è così ridotto?

‹‹Come ho detto, i tempi sono fondamentali. Purtroppo i pazienti spesso arrivano troppo tardi in ospedale. Ci vuole invece un riconoscimento immediato della patologia e una modalità di trasporto rapido presso le Stroke Unit di riferimento per non rischiare di essere fuori dalla finestra terapeutica››.

Quali sono i soggetti che possono e che non possono essere sottoposti alla procedura? 

‹‹La procedura non necessita di farmaci, pertanto le controindicazioni assolute sono poche. Quindi sono pochi i pazienti che non possono essere sottoposti all’intervento. L’età non è un limite. Le condizioni vascolari possono essere un elemento decisivo perché, se non sono buone, l’intervento non riesce: quando non è possibile raggiungere con lo stentriever la sede dell’occlusione››.

In quali centri si effettua la procedura? Ogni ospedale ha una Stroke Unit? 

‹‹Esiste un registro endovascolare delle procedure. Attualmente in Italia sono 35 i centri che registrano tutti i propri casi, in più ve ne sono circa 10 attivi ma da cui non arrivano dati. In definitiva, il totale è di circa 45 centri operativi di diverso livello, ma che si affidano tutti alla stessa metodica. I centri devono avere dei requisiti fra cui, ovviamente, la presenza di neuroradiologi interventisti o, quanto meno, di radiologi vascolari opportunamente formati, in grado di effettuare l’intervento di cui parliamo.

Per quanto riguarda le Stroke Unit, esistono a due livelli. Quelle di primo livello sono negli ospedali più periferici, presso cui si esegue solo la trombolisi sistemica. Accanto, esistono le Stroke Unit di secondo livello, una per ogni 5-6 ospedali, che possono eseguire gli interventi di trombectomia meccanica perché hanno un’équipe di neuroradiologi interventisti››.

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