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L’estate e il caldo estremo che ci sta letteralmente perseguitando in questi mesi del 2024 dovrebbe metterci in guardia da un annoso problema, come invitano a riflettere gli esperti. Le probabilità di ictus salgono immediatamente con il caldo estremo, soprattutto nelle ore centrali della giornata, e restano alte per almeno una decina di ore. A ribadirlo è uno studio svolto presso l’Università Fudan di Shanghai e condotto su più di 82.000 pazienti. Il rischio di ictus aumenta con il passare degli anni, ma esistono anche altri fattori che indeboliscono i meccanismi di difesa dell’organismo, alzando le probabilità di esserne vittima. Tra questi, la disidratazione, conseguenza della sudorazione, il meccanismo che il corpo umano attiva per cercare di abbassare la propria temperatura interna. La disidratazione comporta sia la riduzione del volume di sangue in circolo, sia l’aumento della sua viscosità. Tra i fattori di rischio, quando all’età si aggiunge il caldo estremo, vanno annoverati anche l’assunzione di alcuni medicinali, come gli antipertensivi, i diuretici o i beta-bloccanti, e la convivenza con alcune condizioni come ipercolesterolemia, patologie cardiache o polmonari croniche, obesità, diabete e ipertensione. L’ictus cerebrale in Italia, stando ai dati statistici disponibili, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, ed è responsabile di circa il 10% di tutti i decessi. A livello globale l’ictus è la terza causa di mortalità ed è una delle principali cause di disabilità. Sopravvivere a un ictus comporta tutta una serie di gravi conseguenze, fra le quali una molto importante, ma spesso sottovalutata, è la malnutrizione. Questo problema nello specifico arriva a coinvolgere fino al 60% dei sopravvissuti a un ictus inficiando seriamente sia il ricovero ospedaliero sia il percorso di riabilitazione. La condizione si instaura a causa di problemi quali la disfagia ovvero la difficoltà a deglutire, la perdita di appetito, la depressione e l’incapacità di alimentarsi autonomamente. Se in una condizione così delicata come il post ictus non c’è un’adeguata nutrizione il paziente va incontro alla perdita della forza e della massa muscolare ed è più soggetto a contrarre infezioni e a non riuscire, purtroppo, a debellarle. Ecco perché, a causa della malnutrizione, la capacità del paziente di partecipare attivamente ai percorsi di riabilitazione può risultare gravemente compromessa e di conseguenza anche il recupero funzionale è tutt’altro che ottimale. è da leggere con grande interesse, perciò, lo studio condotto da ricercatori dell’Università Federico II di Napoli presso il Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana e presentato durante il XLIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). Questo studio condotto su 107 pazienti con ictus ricoverati in una struttura di riabilitazione (età 66,9±13,5 anni, IMC 27,3±3,9 kg/m²) ha rivelato che metà dei pazienti seguiti è risultato malnutrito all’inizio della riabilitazione successiva alla degenza ospedaliera. La prevalenza si è rivelata ancora più netta nei pazienti con più di 75 anni. I pazienti malnutriti, purtroppo, si sono rivelati quelli con i punteggi peggiori nei test di valutazione funzionale delle attività della vita quotidiana (ad esempio la capacità di alimentarsi, vestirsi o gestire l’igiene personale autonomamente) e la mobilità (spostarsi dalla sedia al letto, camminare, scendere le scale), così come nella valutazione dello stato cognitivo, rispetto ai pazienti non malnutriti. Nello studio  sono stati anche analizzati alcuni marcatori del sangue, indicatori di infiammazione come la proteina C‐reattiva e il fibrinogeno. È emerso che i pazienti più malnutriti hanno evidenziato i più alti livelli di questi marcatori, a riprova che esiste un legame tra malnutrizione e peggiori condizioni generali di salute. Una diagnosi formale di malnutrizione può essere effettuata con diversi approcci e criteri. I pazienti con malnutrizione hanno mostrato anomalie più frequenti nei valori degli esami ematochimici e bassi punteggi nei test funzionali ma nessuna differenza nell’IMC, nella circonferenza del braccio o del polpaccio e nell’HGS (forza di presa nella mano). Alla luce di questo studio, che ha ricevuto il Premio Gianvincenzo Barba per la Ricerca Scientifica e l’Innovazione in Nutrizione Umana 2024 si spera che il protocollo sperimentale fornirà in futuro informazioni sul ruolo di tali misurazioni nella gestione nutrizionale del paziente nel post ictus al fine di poterlo gestire al meglio e correggerne la malnutrizione.

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