Una recente metanalisi che ha confrontato 102 studi scientifici internazionali dimostra che il diabete raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari, in particolare il rischio di coronaropatia, che cresce in maniera proporzionale ai valori di glicemia e aumenta del 10% la possibilità di morte per cause cardiovascolari. Se ne è parlato aTorino l’11-13 aprile 2024, in occasione di“Change in Cardiology 4.0”, un convegno sul tema delle connessioni fra malattia cardiaca e diabete, davanti a una platea di oltre 2.000 iscritti provenienti da tutta Italia e dall’estero.
Particolare attenzione è stata data alla medicina di genere. È emerso infatti che le donne con diabete di tipo 2 hanno un rischio di complicanze cardiovascolari e di mortalità più alto rispetto agli uomini affetti dalla stessa malattia:nelle donne cardiopatiche il rischio di diabete triplica il rischio di morte cardiovascolare e, in particolare nelle pazienti di età compresa fra 35 e 69 anni, lo aumenta di quasi 6 volte.
“Diabster Registry” è il progetto piemontese che ha lo scopo di valutare le modalità di trattamento farmacologico della glicemia e ottimizzare il controllo glicemico nei pazienti trattati con angioplastica coronarica in Piemonte, Lombardia e Liguria. Il progetto coinvolge un campione di circa 350 pazienti, di età superiore ai 18 anni,sottoposti con successo a impianto di almeno 1 stent. Lanciato nel mese di giugno del 2023 dalla cardiologia del Mauriziano di Torino diretta da Giuseppe Musumeci, annovera nel comitato scientifico, fra gli altri, Ferdinando Varbella, Giuseppe Patti e Italo Porto, direttori scientifici di “Change in Cardiology 4.0”.
A “Change in Cardiology 4.0” sono stati presentati i dati del “Registro JET-LDL” recentemente pubblicato su International Journal of Cardiology, una delle più prestigiose riviste internazionali, che evidenzia la pratica clinica in termini di terapia ipolipemizzante in Piemonte, Lombardia e Liguria. Lo studio mostra come quasi il 60% dei 1095 pazienti studiati in queste regioni raggiungono l’obiettivo terapeutico a sei mesi (dato più alto della media europea).
«Circa il 30% dei pazienti con coronaropatia ha una diagnosi di diabete» – hanno chiosato i Direttori scientifici del Change nel comunicato stampa, aggiungendo che «Le alterazioni della glicemia sono comuni nei pazienti con cardiopatia ischemica sia nelle sindromi coronariche acute sia croniche e sono associate a una prognosi peggiore. Lo studio monitora al sesto e poi al dodicesimo mese di follow up una serie di parametri, fra cui BMI e circonferenza addominale, i valori di glicemia, colesterolo trigliceridi e degli altri ematochimici disponibili per una valutazione dell’efficacia e della modulazione della terapia ipoglicemizzante e ipolipemizzante».
Punto di riferimento fondamentale per lo studio è che il Piemonte è la prima Regione in Italia che indica 55 come valore limite del colesterolo LDL per tutti i pazienti che hanno sofferto di una sindrome coronarica acuta a 6 mesi dall’intervento di angioplastica coronarica, in accordo con le indicazioni delle linee guida europee.
Tra gli interventi, quello di Renu Virmani, anatomopatologa cardiovascolare statunitense, fra le principali esperte nel campo dei trattamenti delle malattie cardiovascolari con approccio di genere. È professoressa presso il Dipartimento di Patologia della Georgetown University, dell’Università del Maryland-Baltimora, della George Washington University e della Vanderbilt University.
Nella sua relazione Virmani ha parlato di una malattia cardiaca rara, laSpontaneous coronary artery dissection (SCAD), che colpisce in particolare le donne giovani, diciamo fra i 40 i 50. La SCAD riguarda lo 0,2% della popolazione, ed è molto più frequente fra le donne (0,6% contro lo 0.07% degli uomini).
Si tratta di una malattia vascolare relativamente rara, gravata da un’alta mortalità se non trattata con chirurgia d’urgenza. L’87-95% delle dissezioni spontanee dell’aorta nelle donne si presenta in persone con età compresa fra i 44 e i 53 anni di età.
Si è parlato anche della sindrome di Takotsubo(da cui deriva l’espressione “crepacuore”), prevalente nelle donne, caratterizzata da insufficienza cardiaca acuta che simula un infarto. Spesso è scatenata da un evento drammatico, ma a volte non ha una chiara spiegazione. La prognosi è prevalentemente buona a distanza con un recupero completo della funzione cardiaca, ma la fase acuta può essere estremamente grave anche perché spesso diagnosticata in ritardo a causa di sintomi subdoli come dolore toracico, addominale o mancanza di fiato.
Invece, l’intervento di Mikhail Kosiborod, uno dei massimi esperti internazionali delle malattie cardiometaboliche, medico cardiologo presso il Saint Luke’s Mid America Heart Institute, ha confermato cheper trattare efficacemente l’insufficienza cardiaca, dobbiamo prendere di mira l’obesità, dato che una caratteristica della forma di insufficienza cardiaca più comune è quella di aumentare parallelamente all’aumento dei tassi di obesità e che l’80% dei pazienti che ce l’hanno convive con sovrappeso o obesità.