In Italia 4-5 persone su 10 soffrono di sovrappeso o sono obese, con tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una tendenza all’aumento negli ultimi anni. È quanto ricorda un report sul diabete presentato a Roma il 9 luglio. L’opera, giunta quest’anno alla diciassettesima edizione, è frutto del lavoro dell’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) che fa capo all’Università Tor Vergata di Roma, eseguito in collaborazione con ISTAT e altri enti. L’obesità – viene ribadito nel libro – rappresenta un potente fattore di rischio per il diabete e ha una forte incidenza sul numero di persone, adulti e bambini, che nei prossimi anni svilupperanno il diabete di tipo 2. Il diabete di tipo 2 è la forma più comune di diabete e rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. Si tratta di una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. «L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas – spiegano i curatori dell’opera – che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno.
Il diabete è una malattia che può causare serie complicanze, a livello di cuore, vasi sanguigni, rene, occhi, nervi, cervello. La sua prevenzione attraverso corretti stili di vita, la diagnosi e il trattamento precoce rappresentano gli strumenti irrinunciabili per ridurre il rischio di tali complicanze invalidanti». Si contrappone al diabete di tipo 1, che invece è una malattia autoimmune, «la cui causa è sconosciuta, ma caratteristica è la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina». Al momento, il diabete di tipo 1 non può essere prevenuto.
Nel mondo, il diabete colpisce più di 400 milioni di persone ed è causa di complicanze, riduzione dell’aspettativa e della qualità della vita. In Italia, si rileva disparità tra le varie regioni e territori per quanto riguarda i programmi di prevenzione, l’educazione ad uno stile di vita sano, la protezione dai fattori di rischio, l’informazione, l’accesso alle cure e l’utilizzo delle tecnologie, come, ad esempio, la telemedicina, i sistemi digitali per il monitoraggio del glucosio e i sistemi innovativi per la somministrazione dell’insulina. La mancanza di queste infrastrutture fa sì che al Sud i pazienti diabetici italiani rappresentino una massa rilevante. Si tratta in particolare di persone con basso titolo di studio, il cui svantaggio emerge in tutte le analisi ed accomuna uomini e donne.
La compresenza di altre malattie croniche, che colpisce oltre tre diabetici su quattro, costituisce un altro importante fattore da considerare. «Riteniamo prioritario ridisegnare l’attuale modello di assistenza al diabete con lo specialista diabetologo investito del ruolo di ‘case manager’ per un’adeguata gestione della cronicità diabete-correlata» è il diktat intorno a cui ruota il succo della policy su cui si basa questa pubblicazione. A questo riguardo viene ricordato che a seguito della pubblicazione della nota 100, che ha dato la possibilità ai medici di medicina generale (MMG) di prescrivere i farmaci per la terapia del diabete tipo 2 di ultima generazione, il numero di MMG in grado di gestire in piena autonomia i farmaci per il diabete è in «rapida crescita».
Negli ultimi anni, grazie alla ricerca è diventata disponibile una nuova classe di farmaci antidiabete e antiobesità: gli agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1RA).
Non solo, farmaci come la semaglutide, la dulaglutide o la tirzepatide inizialmente ideati e sperimentati per la cura del diabete, si sono dimostrati capaci di modulare l’appetito e aumentare il senso di sazietà. «Si tratta di principi attivi che amplificano un importante meccanismo endocrino di risposta all’assunzione del cibo, il cosiddetto “effetto incretinico” determinato dalla produzione durante il pasto di alcuni ormoni come appunto il GLP-1 o il GIP». Insomma, l’effetto incretinico consisterebbe nella risposta ormonale intestinale all’assunzione di cibo, che amplifica ulteriormente la secrezione di insulina e modula la sazietà.
Domanda, essendo l’obesità una malattia cronica come il diabete e l’ipertensione, perché la sua terapia farmacologica non viene considerata anch’essa cronica e quindi di lungo termine, come accade per l’ipertensione o il diabete? Questo interrogativo, tuttora senza risposta, a detta degli esperti è la cartina di tornasole che dimostra che molto deve ancora emergere nel determinare il corretto approccio farmacologico alla terapia della diabesità (diabete + obesità).