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L’ipertrofia cardiaca non è esclusiva degli sportivi, ma può presentarsi in conseguenza di diverse patologie (l’ipertensione arteriosa, certe malattie valvolari, o malattie proprie del muscolo cardiaco, dette cardiomiopatie); quando un medico sportivo riscontra in un atleta la presenza di ipertrofia cardiaca deve poter dire se questa è la conseguenza dell’allenamento o il segnale di una patologia da curare, e che può rendere pericolosa la stessa pratica sportiva.

Il cuore, si sa, è un muscolo e, come tutti i muscoli, può essere allenato; se l’allenamento è costante e prolungato, anche il cuore subisce degli adattamenti che migliorano la sua capacità di sostenere lo sforzo. Proprio come i muscoli scheletrici.

Non parliamo qui di attività fisica ludica o amatoriale, ma di allenamenti agonistici svolti per diverse ore al giorno, per più giorni alla settimana, o addirittura quotidianamente.

Le variazioni sono diverse nei diversi tipi di attività sportive: negli sport di resistenza (ciclismo, sci di fondo, maratona, canottaggio…) si osserva non solo un aumento dello spessore delle pareti del ventricolo sinistro, ma anche un ampliamento della sua cavità. Causa di un così importante rimodellamento è l’aumento della portata cardiaca (che a riposo è di 4-5 litri al minuto mentre durante sforzo può superare i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo può superare i 200 mmHg).

Invece gli atleti che praticano sport di potenza (sollevamento pesi, lanci…) presentano un importante ispessimento delle pareti ventricolari, conseguenza dell’enorme carico di pressione cui vanno incontro durante l’allenamento (la pressione sistolica supera abitualmente i 200 mmHg, talora anche i 300 mmHg), ma la dimensione della cavità ventricolare sinistra non si modifica sensibilmente.

A parte l’eventuale presenza di altri segni e sintomi di malattia, sono importanti l’entità e le caratteristiche dell’ipertrofia. Generalmente, l’ispessimento delle pareti ventricolari negli atleti ben allenati non supera i 15-16 mm, che rappresentano il limite dell’ipertrofia fisiologica indotta dall’allenamento. Inoltre, negli atleti la distribuzione dell’ipertrofia è simmetrica e regolare: anche se i diversi segmenti del miocardio ventricolare possono non essere ispessiti in modo uguale, le differenze sono modeste. Invece nei pazienti con cardiopatia ipertrofica l’ipertrofia è tipicamente asimmetrica.

Il genere maschile o femminile determina importanti differenze per quanto riguarda il rimodellamento cardiaco: le atlete, se paragonate ai maschi della stessa età e praticanti le stesse discipline sportive, presentano dimensioni minori sia della cavità (circa – 10%) che dello spessore delle pareti ventricolari (circa – 20%). Tali differenze sono legate ad una serie di fattori, tra cui i principali sono la taglia corporea e la percentuale di massa magra, mediamente minori nelle donne, l’aumento più modesto della portata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo e il più basso livello di ormoni androgeni naturali.

Studi ecocardiografici hanno dimostrato che, sia nel corso del periodo di allenamento, che dopo la sua interruzione, le modificazioni delle dimensioni del ventricolo sinistro si instaurano in tempi relativamente brevi: sia fondisti (osservati per 7 settimane), che nuotatori (osservati per 10 settimane), hanno presentato aumenti sino a 15 mm al termine dello studio. Durante la fase di detraining, nuotatori e fondisti mostravano un progressivo ridimensionamento delle dimensioni delle cavità.

Ma la peculiarità che più caratterizza l’attività cardiaca degli sportivi, evidente alla semplice auscultazione del cuore o alla palpazione del polso, è la bradicardia: molti sportivi, soprattutto se praticanti sport di resistenza ad elevato livello agonistico, presentano a riposo una frequenza cardiaca anche inferiore a 40 bpm. Infatti, l’allenamento intenso e duraturo modifica l’equilibrio tra il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico, inducendo la dominanza della componente parasimpatica. La bradicardia si traduce in una migliore tolleranza allo sforzo: poiché esistono dei limiti massimi di frequenza cardiaca oltre i quali l’efficienza del cuore si riduce e il prolungamento dello sforzo diventa impossibile, chi parte da una frequenza più bassa ha a sua disposizione possibilità di incremento molto maggiori.

Anche per la bradicardia ci si può porre il problema della distinzione tra forme normali e forme patologiche: possiamo dire che se non sono presenti alterazioni dell’elettrocardiogramma (oltre le bassa frequenza), se non vi sono sintomi legati alla bradicardia, come sincope o senso di vertigine, e se la frequenza cardiaca si incrementa durante sforzo, siamo di fronte ad un sanissimo, grande cuore d’atleta.

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