In base ai risultati di uno studio apparso sul «Journal of the American Association» ai primi di luglio 2023, potrebbero diventare dirimenti due test clinici per stabilire il rischio di infarto e di insufficienza cardiaca nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 (alimentare) nei quali la malattia cardiovascolare non è ancora stata diagnosticata. O almeno, questo è quello che auspicano gli autori dello studio, che hanno analizzato oltre 10 mila campioni di siero ematico conservati presso il National Health and Nutrition Examination Survey, un programma che monitora la salute e lo stato nutrizionale degli adulti e dei bambini negli Stati Uniti. Per quanto riguarda i test, si tratta di due vecchie conoscenze della cardiologia. Il primo è l’esame della troponina T, il test clinico d’elezione per diagnosticare l’infarto miocardico. Il secondo è l’NT-proBNP, un esame in grado di definire il livello di stress della parete ventricolare e il sovraccarico di volume che denotano l’insufficienza cardiaca.
In base ai campioni di siero conservati fra il 1999 e il 2004, gli autori hanno confrontato le associazioni di troponina T (≥14 ng/L) e di proBNP (≥125 pg/mL) a partire dai valori indicati fra parentesi nei soggetti con e senza diabete. Dal riscontro è emerso che i valori di questi due marcatori erano due volte superiori negli adulti con diabete rispetto ai soggetti senza diabete (33,4% contro 16,1%). La prevalenza di troponina T elevata era significativamente più alta nei pazienti diabetici da più anni e in coloro che hanno trascurato di controllare la glicemia rispetto a quanto prevedono le linee guida.
Siccome la malattia cardiovascolare non ancora diagnosticata nei diabetici ha un impatto notevole, visto che va a colpire circa 1/3 degli adulti statunitensi con diabete e conferisce loro un rischio sostanziale di mortalità, concordemente con le conclusioni dello studio statunitense, sia il test della troponina T sia l’NT-proBNP potrebbero diventare dei biomarcatori cardiaci molto utili per valutare e monitorare il rischio cardiovascolare nelle persone con diabete, se eseguiti almeno una volta l’anno.
Tanto più che le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morbilità e mortalità negli adulti diabetici. Negli USA rappresentano oltre il 40% dei ricoveri e il 30% di decessi.
Il primo consenso al test della troponina T negli USA risale al 2022, quando l’FDA ha dato parere positivo alla relazione dell’American Diabetes Association che lo caldeggiava per i diabetici.
E in Italia? Innanzi tutto, va ricordato che la malattia è ben rappresentata anche nel nostro paese. Con oltre 74 mila decessi l’anno (causa diretta o come comorbidità) e con il 4% di tasso standardizzato x 100 mila abitanti di mortalitàper diabete, l’Italia ha, potremmo dire, un problema con questa malattia cronica. Tuttavia, in occasione della Giornata Mondiale del Diabete del 2021, chi di competenze ha annunciato la disponibilità sul mercato italiano di un nuovo strumento per migliorare le performance dei metodi attualmente in uso per valutare il rischio di scompenso cardiaco nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Si tratta di un test clinico messo a punto dalla casa farmaceutica Roche. Grazie alla nuova indicazione d’uso del biomarcatore cardiaco NT-proBNP, per la quale la Roche ha ottenuto la marcatura CE lo scorso aprile, «sarà possibile per il clinico una valutazione precoce del rischio cardiovascolare che permetterà la tempestiva applicazione dei percorsi terapeutici più corretti per ciascun paziente, con benefici significativi in termini di miglioramento della gestione del decorso con una conseguente riduzione delle ospedalizzazioni», è scritto in un dichiarazione stampa congiunta.
Italia come l’Europa. La notizia trapelata è che l’Europa si sta attrezzando a recepire questi due test nella pratica clinica, ritenendoli due validi strumenti di contrasto della malattia cardiovascolare nei soggetti adulti affetti da diabete alimentare.