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Una delle spiegazioni più frequenti per chi ha l’ingrato compito di commentare il bollettino dei decessi per coronavirus, è dire, quasi fosse un’attenuante, che l’alta letalità sta colpendo per lo più persone d’età avanzata e con almeno un paio di acciacchi tipici. Fra queste comorbilità della senescenza vengono quasi sempre citate le malattie cardiovascolari, i fattori di rischio e le altre patologie concomitanti, come l’ipertensione e il diabete mellito. Con l’ipertensione, la probabilità di azzeccarci sembra in effetti parecchio alta. Secondo i dati condivisi dagli organismi istituzionali (Ministero della salute, Istituto Superiore di Sanità, Associazione Italiana Ipertensione Arteriosa), il 50% degli uomini e il 40% delle donne d’età compresa fra 35 e 74 anni sono ipertesi. Come dire, quasi tutti. Sostenere allora che molti casi di Covid19 risultano ipertesi sembra un’ovvietà poco significativa; lo stesso che dire che molti di essi hanno gli occhi marroni, i più comuni per quel ramo della razza caucasica dal quale la maggioranza di noi discende. A ben vedere, sostenere che l’ipertensione peggiori il quadro clinico di Covid19 non ha neppure molto senso in base alla distribuzione di genere.

La virologa Ilaria Capua, che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere per i suoi focus illuminanti sia sull’epidemia italiana sia sulla pandemia mondiale, ha evidenziato che gli uomini si ammalano e muoiono molto di più delle donne di Covid19, un fatto questo che merita di essere approfondito. Capire questa e altre specificità nei pazienti positivi, a suo dire può esserci di grande aiuto nella messa a punto sia della cura sia del vaccino.

Dati alla mano, si ammalano di Covid19 8 uomini su 10, a dispetto di solo 2 donne, mentre il rapporto fra uomini e donne ipertesi, come abbiamo appena visto, è decisamente più bilanciato. Dunque l’ipertensione è un fattore di rischio da accantonare per fare chiarezza intorno a questo maledetto virus? Forse. In  ogni caso, dopo aver riflettuto su quanto è emerso su alcuni dei farmaci più comuni per la cura di questa condizione clinica, probabilmente la più diffusa nel mondo occidentale.

A marzo, prima su «Lancet» il 10 del mese e poi sul «Journal of Hypertension» l’11, sono apparsi due editoriali che s’interrogano sui principi attivi di due farmaci antipertensivi molto comuni, gli ace-inibitori e i sartani, in relazione a quanto avviene a livello endoteliale nel momento in cui il Covid19 s’insinua negli organi interni, in particolare nei polmoni provocando le note crisi respiratorie. Il principio attivo degli Ace-inibitori agisce attivando un enzima, l’Ace-inibitore, appunto, che blocca l’attività di un recettore (AT1) il quale, proprio perché messo in condizione di non nuocere, impedisce a sua volta che l’ormone Angiotensina II vada in corto circuito. Il che accade quando l’Angiotensina II  aumenta la vasocostrizione, rilascia più aldosterone e più sodio, che sono tutti fenomeni alla base dell’ipertensione. I sartani arrivano a bloccare l’Angiotensina II in maniera più diretta, senza bisogno di passare dall’enzima Ace-inibitore. Essi vengono consigliati ai pazienti intolleranti alla prima classe di farmaci. Dove sta il problema rispetto al Covid19? Che l’uno e l’altro farmaco aumentano un enzima, l’Ace2, del quale si serve il virus per far breccia nelle cellule del polmone. Secondo questo schema, l’assunzione di questi farmaci potrebbe favorire, per lo memo in via teorica, la penetrazione del virus laddove è in grado di fare più danni, nei polmoni appunto. Al momento non ci sono evidenze scientifiche per confermare quest’ipotesi, dicono le fonti di ufficiali che abbiamo citato prima, dall’Agenzia del Farmaco, all’Associazione italiana di ipertensione arteriosa, e precisano che fra i pazienti più gravi di Covid19, così come fra gli stessi deceduti, non risulta nessuna predominate dell’ipertensione rispetto alle altre comorbilità. Dal canto loro, gli autori dei due editoriali citati, concludono dicendo che, pur non essendoci ancora nessuna evidenza certa che inchiodi queste due classi di farmaci a essere dei propalatori della penetrazione del Covid19 nell’organismo, di fronte a un nuovo caso di ipertensione, oggi come oggi preferirebbero affidarsi ad altri farmaci. Lo stesso dicasi per nuovi casi di diabete mellito, insufficienza cardiaca, infarto o ictus, in cui Ace-inibitori e sartani sono altrettanto comuni.

E le nostre autorità sanitarie come reagiscono a questa ipotesi terapeutica? Per ora rimbalzano le critiche e, in attesa di nuove evidenze, ricordano che il rimedio potrebbe essere molto peggio della cura se si decidesse di sospendere i due farmaci o se si passasse ad altri trattamenti in maniera non controllata. Pertanto invitano la popolazione a mantenersi  fedele alle raccomandazioni vigenti, ricordando che per ora queste ultime sono ampiamente condivise dalla comunità scientifica internazionale.

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