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a cura della redazione

Anestesia nelle operazioni cardiochirurgiche: a livello di sicurezza non c’è differenza tra volatile o intravenosa. È quanto suggerisce un ampio studio multicentrico, pubblicato sulla prestigiosa rivista «New England Journal of Medicine» e coordinato da ricercatori italiani, condotto in ben 13 paesi e 36 centri. Si tratta di un risultato in controtendenza rispetto alle linee guida internazionali

Non esiste un tipo di anestesia migliore rispetto a un’altra per chi finisce sotto ai ferri del cardiochirurgo: i risultati in termini di sicurezza sono del tutto comparabili, per questo saranno i medici a decidere se preferire l’anestesia volatile o quella intravenosa nelle operazioni al cuore.
L’anestesia è un passaggio indispensabile per qualsiasi tipo di intervento, perché permette ai pazienti di finire sotto al bisturi senza provare dolore e perché garantisce di arrivare fino in fondo all’operazione con la giusta protezione dalle complicazioni. Dall’intervento più semplice (di tipo laparoscopico o endovascolare) a quello più complesso, come i cosiddetti interventi “a cuore aperto”, l’anestesia è una garanzia imprescindibile per il buon esito dei medesimi. Finora gli studi hanno suggerito di preferire, negli interventi al cuore, l’anestesia inalatoria rispetto a quella intravenosa, per le sue conseguenze farmacologiche positive. Una su tutte, la riduzione dell’infarto miocardico. Tuttavia, fino a oggi, non esisteva una ricerca in grado di evidenziare le reali differenze nel post-operatorio per i pazienti cardiochirurgici. Un vuoto ora colmato. Lo studio surriferito, condotto in 36 centri di 13 paesi per un totale di circa 5400 pazienti, segna un punto di svolta. Per numero di centri e di pazienti, la ricerca è una delle più grandi mai portate a termine in ambito anestesiologico. A coordinarla un team tutto italiano, composto interamente da medici e ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, una delle 19 strutture d’eccellenza del gruppo San Donato.
I ricercatori del San Raffaele si sono avvalsi della collaborazione di ospedali di tutto il mondo – dal Brasile alla Malesia, dall’Arabia Saudita alla Russia – con il preciso intento di osservare l’effettiva differenza fra i due tipi di anestesia generale in caso di bypass aortocoronarico. L’intervento in questione è «considerato un ottimo modello per vedere gli effetti dell’anestesia – ha dichiarato Giovanni Landoni, referente di Ricerca Clinica in Anestesia e Rianimazione, professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele nonché coordinatore della ricerca – oltre a essere uno degli interventi più frequenti».
I pazienti, reclutati nel periodo 2014-2017, sono stati suddivisi in due gruppi in modo assolutamente randomizzato: un gruppo è stato trattato con anestesia volatile e l’altro con anestesia intravenosa. Ebbene, dai monitoraggi successivi, le conseguenze cliniche del post-operatorio non hanno mostrato differenze degne di nota, lasciando campo aperto alla conclusione di essere ugualmente sicure. «Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto – ha affermato Alberto Zangrillo, professore ordinario Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e coordinatore della ricerca – perché, oltre a rassicurare medici e pazienti, indica che è possibile nell’immediato ridurre i costi dell’anestesia in ogni paese. Dal momento che i risultati sono del tutto comparabili, saranno i paesi stessi a decidere se preferire un’anestesia rispetto all’altra a seconda dei costi che questa comporta caso per caso».
Lo studio, promosso e finanziato dal Ministero della Salute, è stato presentato in ambito europeo a Bruxelles il 19-22 marzo scorso, nell’ambito della 39esima edizione del congresso ISICEM (International Symposium on Intensive Care and Emergency Medicine) uno dei più importanti del settore. Sulla rivista «The New England Journal of Medicine» è uscito il 19 marzo.

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