Quando il cuore ha fame
Anoressia, bulimia e disordini alimentari sono malattie gravi, di origine psicologica: l’esperienza clinica ha dimostrato che queste patologie si configurano come reazione dell’individuo a rapporti interpersonali problematici. La letteratura specializzata riporta con grande frequenza una genesi dovuta a un vissuto traumatico: lutti e perdite affettive, maltrattamento e abuso sessuale in età precoce possono essere all’origine di comportamenti alimentari squilibrati; l’insorgere di queste problematiche può tuttavia dipendere anche da fattori non altrettanto gravi: rapporti conflittuali con i genitori, relazioni difficoltose fra i genitori stessi, difficoltà di accettazione dei cambiamenti corporei legati alla pubertà, ecc.
Un problema grave
La gravità della situazione è stata denunciata – non senza
suscitare polemiche – nel «Manifesto di Autoregolamentazione della
Moda Italiana contro l’anoressia», sottoscritto il 22 dicembre 2006
dal Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive e dalla
Camera della Moda Italiana.
Che non si tratti di un problema socialmente poco rilevante, appare evidente
se si considera che in Italia circa tre milioni di persone – pari al 5%
della popolazione – soffrono di disturbi del comportamento alimentare:
l’1% degli italiani manifesta i sintomi dell’anoressia, ovvero comportamenti
che rivelano la scelta di non alimentarsi fino al rischio di morte; e l’anoressia
è la prima causa di morte da malattia psichiatrica. Una percentuale variabile
tra l’1% e il 3% risulta invece affetto da bulimia, ingerisce cioè
abitualmente quantità sovrabbondanti di cibo, eliminato con vomito auto-indotto
più volte al giorno, in alternativa o in concomitanza con l’abuso
di lassativi e diuretici; in moltissimi casi i due disturbi risultano combinati.
Si tratta di patologie al femminile: nel 95,5% dei casi a soffrirne sono donne
giovani e giovanissime; l’età media di insorgenza è molto
bassa, 17 anni circa.
Insorgenza e sviluppi
I primi sintomi dei disturbi alimentari passano purtroppo spesso inosservati:
chi è affetto da anoressia inizia a mangiare disordinatamente, a orari
strani e preferibilmente in solitudine; a queste anomalie si accompagna spesso
un ritmo di vita frenetico, ricercato con lo scopo di accelerare il dimagrimento.
Di frequente le fatiche dovute all’iniziale restrizione alimentare vengono
paradossalmente “sostenute” dall’approvazione di genitori,
parenti e amici, che notano ed elogiano il dimagrimento; all’entusiasmo
così suscitato si accompagna una grande sensazione di benessere e rinnovata
energia a livello fisico.
La malattia diventa conclamata quando il paziente perde più del 25% del
proprio peso corporeo: a questo punto la sensazionedi benessere viene meno,
sostituita da pensieri ossessivi riguardanti il cibo e la paura di ingrassare;
la situazione psicologica peggiora progressivamente.
La fase più grave della malattia è caratterizzata dalla scomparsa
dell’ossessione per il cibo, e da un profondo stato di depressione e di
astenia; le capacità logiche e critiche sono compromesse al punto che
il paziente non è più in grado di reagire, e l’alimentazione
forzata rappresenta l’unica possibilità terapeutica.
La bulimia è spesso associata all’anoressia; se si manifesta come
patologia autonoma, non comporta conseguenze fisiche e psicologiche altrettanto
evidenti: il bulimico è soggetto a crisi frequenti – mediamente
due a settimana – ma il suo aspetto fisico è abbastanza normale.
Complicanze cardiocircolatorie
La denutrizione compromette gravemente la funzionalità dell’apparato
cardiocircolatorio, tanto che nella maggior parte dei casi le morti per anoressia
e bulimia sono legate a complicanze di natura cardiovascolare. Un team di ricercatori
statunitensi del Dipartimento di Medicina del Montefiore Medical Center di New
York, guidato da Deena Casiero, si è occupato di approfondire questi
aspetti: da un punto di vista strutturale, il cuore dei pazienti affetti da
disturbi alimentari risulta atrofico, e soggetto a un’importante distruzione
miofibrillare, cioè diminuzione fino alla scomparsa della massa muscolare,
per riduzione numerica delle fibrocellule muscolari, associata a riduzione dell’energia
contrattile. Queste caratteristiche possono essere ricondotte a uno stato di
prolungata ipovolemia (diminuzione della massa di sangue circolante) e alla
carenza proteica.
Il paziente risulta pertanto esposto al rischio di aritmie, cioè di alterazioni
del regolare ritmo cardiaco, che nel cuore umano è di circa 70 battiti
al minuto in condizioni di riposo. Parliamo di tachicardia a proposito dell’aumento
della frequenza del ritmo cardiaco: la forma clinica più importante è
quella parossistica con origine dello stimolo nel nodo del seno (tachicardia
sinusale), in un centro ectopico atriale (tachicardia sopraventricolare) o nel
ventricolo (tachicardia ventricolare); insorge con sensazione di urto al cuore
e con accelerazione ritmica dei battiti fino a 180-250 al minuto.
Definiamo invece bradicardia il rallentamento del ritmo cardiaco al di sotto
dei 60 battiti al minuto; la forma più comune è la bradicardia
sinusale: una serie di fattori di varia natura agisce sul nodo senoatriale,
sede anatomica di partenza dello stimolo alla contrazione del cuore, rallentandone
la frequenza di scarica. Nei pazienti anoressici sono più frequenti i
casi di bradicardia; i bulimici risultano più esposti alla tachicardia,
conseguenza di scompensi idrosalini dovuti al vomito autoindotto o all’assunzione
di diuretici/lassativi.
L’anatomia del cuore può essere inoltre messa a rischio dal cosidetto
prolasso mitralico: si tratta di un’alterazione della valvola mitralica
del cuore e del suo apparato di sostegno, che causa un imperfetto funzionamento
della valvola stessa. Talora può dare luogo a disturbi del ritmo cardiaco;
nelle forme gravi, caratterizzate da frequenti complicazioni, da edema polmonare
e insufficienza circolatoria, si interviene chirurgicamente. Altra possibile
complicazione è il tamponamento cardiaco: si tratta di una malattia acuta
caratterizzata dall’accumulo di liquido all’interno del sacco pericardico.
Il pericardio è un sacco relativamente rigido che avvolge il cuore che,
quindi, non ha la possibilità di espandersi oltre un certo limite; nel
sacco pericardico sono contenuti pochi centimetri cubi di un liquido che, in
qualche modo, agevola il movimento del cuore. In caso di infiammazione del pericardio,
la quantità di liquido può aumentare in maniera anomala, determinando
un “tamponamento”, ovvero una compressione del cuore e delle sue
cavità, impossibilitate a contrarsi regolarmente e a distendersi per
raccogliere il sangue refluo. Si determina così una situazione di grave
insufficienza cardiocircolatoria acuta, che può esitare in un arresto
cardiocircolatorio totale, a meno che non si intervenga con una pericardiocentesi
di urgenza.
Danni permanenti a carico della funzione
cardiaca
Fortunatamente, non tutti i casi di anoressia e bulimia implicano conseguenze
cardiocircolatorie gravi, o addirittura mortali: la terapia psichiatrica consente
generalmente un buon recupero a livello psicologico e fisico, evitando le implicazioni
più gravi. È bene tuttavia segnalare che il trattamento di questi
disturbi può determinare, a sua volta, seri danni a carico della funzione
cardiaca: la cura dell’anoressia e della bulimia prevede infatti –
accanto alla psicoterapia – la somministrazione di nutrienti con un contenuto
calorico crescente, al fine di correggere il carente apporto alimentare. Si
tratta di una terapia che può comportare importanti rischi cardiovascolari
intrinseci, a partire da quelli connessi alla cosidetta sindrome di rialimentazione
(refeeding syndrome): essa insorge come conseguenza del brusco cambio di metabolismo
e dei correlati disordini elettrolitici; si manifesta con episodi di aritmia,
tachicardia e scompenso cardiaco, fino ad arrivare a casi di morte cardiaca
improvvisa. Per minimizzare i rischi, è necessario che il refeeding sia
svolto sotto stretto monitoraggio clinico. Alla luce di queste problematiche,
appare evidente come non solo lo psichiatra e il nutrizionista, ma anche l’internista
e il cardiologo debbano essere coinvolti nel trattamento di pazienti affette
da anoressia e bulimia, al fine di evitare gravi e potenzialmente mortali complicanze
legate a queste patologie.
Come intervenire
La miglior forma di intervento è, anche nel caso dei disturbi del comportamento
alimentare, la prevenzione: è importante che i primi sintomi dell’anoressia
e bulimia vengano prontamente rilevati. Un’eccessiva attenzione al peso
corporeo, un’attività fisica molto intensa, un impegno sproporzionato
nelle attività scolastiche, il rifiuto sistematico di alcuni alimenti,
le bugie relative al cibo… questi alcuni dei segnali che devono mettere
sull’attenti. Gli interventi psicoterapeutici e nutrizionali devono essere
attuati consapevolmente, con il sostegno di personale e strutture specializzate:
poiché le patologie in questione presentano un aspetto nutrizionale e
uno psicologico, il lavoro dovrà essere svolto contemporaneamente da
un nutrizionista che conosca l’anoressia e da uno psicologo specializzato
nei disturbi alimentari; solo un lavoro d’équipe può realizzare
un trattamento efficace. Il percorso verso la guarigione può essere irto
di ostacoli, a partire dalla mancanza di motivazione da parte del paziente.
La possibilità di successo, e i risultati duraturi, si hanno solo se
alle terapie si accompagna un lavoro psicoterapeutico volto a costruire nel
paziente motivazioni solide alla guarigione.
Altre conseguenze cliniche
Nei pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare, sia in fase acuta
sia in fase cronica, le conseguenze cliniche sono significative, e non solo
a livello cardiovascolare. Gli effetti della denutrizione determinano una generale
riduzione del metabolismo basale: il corpo percepisce le carenze nutrizionali
e inizia a “risparmiare”, limitando il consumo di energia; la cosa
si ripercuote velocemente sulla funzionalità della tiroide, che regola
tra le altre cose la temperatura corporea, determinando una sensazione di freddo
alle estremità.
La carenza di proteine è spesso responsabile della comparsa di gonfiori
ed edemi alle gambe e al volto; il malessere dell’organismo si manifesta
esteriormente anche nella secchezza e squamosità della pelle, nell’ingiallimento
dell’interno delle mani per variazione della carotenemia ossia del contenuto
di carotene nell’organismo, nella perdita dei capelli.
L’apparato gastrointestinale è tra i più direttamente colpiti:
i soggetti con disturbi alimentari soffrono spesso di dolori e gonfiori addominali,
digestione rallentata e difficoltosa, stitichezza, esofagite; l’ecografia
epatica evidenzia talvolta un quadro di steatosi, cioè di ingrossamento
del fegato.
L’apparato muscolo-scheletrico risulta debilitato dalla riduzione della
massa muscolare e ossea; la diminuzione dei livelli di estrogeni conseguente
all’amenorrea o alla malnutrizione può determinare osteoporosi
e fratture spontanee. Il paziente denutrito può inoltre andare incontro
ad alterazioni ematologiche e immunologiche: la riduzione della concentrazione
di emoglobina nel sangue (anemia), la riduzione del numero di globuli bianchi
(leucopenia) e di piastrine (piastrinopenia), unite ad anomalie di vario genere
della funzione immunitaria.
Tra le conseguenze della denutrizione si è già citata l’amenorrea,
che si accompagna a una complessiva regressione a un quadro prepuberale, con
diminuzione delle dimensioni dell’utero e delle ovaie, a causa di un’anomala
secrezione di alcuni ormoni ipotalamici.
Una consistente diminuzione di peso può, a lungo termine, determinare
un’atrofia cerebrale solo parzialmente reversibile e disfunzioni neurologiche
gravi.
Le strategie di “eliminazione” del bulimico (vomito, assunzione
di diuretici e lassativi) determinano uno squilibrio idrosalino che può
avere, come conseguenze immediate, spossatezza, tremori, tachicardia e aritmie
cardiache anche gravi (dalla tachicardia sinusale alla fibrillazione ventricolare).
La perdita di potassio, sodio e cloro provoca complicanze metaboliche, renali
e cardiovascolari, sia in forma acuta che cronica. Le ghiandole salivari risentono
infine del vomito autoindotto, si infiammano e producono tumefazioni molto evidenti.
Ricovero ospedaliero: quando serve, a
cosa serve
La necessità di intervenire intensivamente sui pazienti affetti da disturbi
alimentari – in particolare da anoressia – si prospetta in presenza
di uno o più dei seguenti fattori:
- severa o rapida perdita di peso corporeo associata a complicanze cliniche gravi;
- mancata risposta al trattamento ambulatoriale o in day-hospital, con assenza di miglioramenti nel peso o in altri sintomi del disturbo (abbuffate, vomito auto-indotto, ecc.);
- presenza di una significativa patologia psichiatrica associata che ostacola l’intervento ambulatoriale (disturbo depressivo maggiore, severo disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo border-line di personalità con comportamenti impulsivi, abuso o dipendenza da sostanze, comportamenti autolesionistici gravi);
- presenza di complicazioni mediche severe (ipopotassiemia marcata, anomalie cardiache, presenza di diabete mellito, ecc.);
- opportunità di separare il paziente dalla famiglia.
Il trattamento ospedaliero dell’anoressia nervosa si pone due obiettivi generali che necessitano di protocolli terapeutici differenti:
- stabilizzare le condizioni mediche-psichiatriche per gestire le complicanze acute del disturbo, in pazienti non necessariamente motivate a intraprendere una cura finalizzata alla guarigione,
- iniziare o continuare un percorso di cura finalizzato all’eliminazione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo.
L’intervento terapeutico è generalmente di tipo multidisciplinare e include:
- una valutazione diagnostica multidimensionale (internistica, psichiatrica e nutrizionale);
- un programma di riabilitazione nutrizionale, con pianificazione e assistenza ai pasti; psicoterapia (individuale e/o di gruppo);
- terapia farmacologica (in alcuni casi) e terapia familiare.
Il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva
ha una lunga durata, solitamente compresa tra 60 e 120 giorni, perché
è necessario far raggiungere al paziente almeno il 90% del peso corporeo
atteso. In molti casi può essere utile far seguire alla fase di ricovero
una fase di day-hospital: il paziente ritorna al proprio domicilio (se vive
vicino alla struttura), oppure sceglie da solo una stanza o un piccolo appartamento
nelle vicinanze della clinica dove dovrà risiedere per l’intera
durata del day-hospital; assume il completo controllo sulla dieta e sul peso
corporeo, continua a prendere parte alle attività terapeutiche avviate
durante il ricovero e prepara il programma di cura ambulatoriale.
Il trattamento ospedaliero riabilitativo intensivo, se ben organizzato, ha un
alto tasso di successo: riesce a coinvolgere in un processo di cura finalizzato
alla guarigione anche i pazienti affetti dalle forme di anoressia più
gravi, che per le loro condizioni cliniche, senza questo intervento, sarebbero
esclusivamente trattati in regime di ricovero ordinario e destinati in un elevato
numero di casi a una prognosi generalmente molto negativa (cronicità
o morte).
Indirizzi utili
L'ABA, associazione senza fini di lucro, è impegnata dal 1991 nel campo
della prevenzione, informazione e ricerca su anoressia, bulimia, obesità
e disturbi alimentari. Lavora per ridurre la distanza tra le persone che soffrono
di questi disagi – e che spesso rifiutano ogni forma di aiuto –
e le strutture specifiche deputate alla cura.
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Torino
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Verona
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